14 Maggio 2003


 

 

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STORIE DI MARE


IL GRANDE CANTIERE NAVALE DELLA SOCIETA' DI NAVIGAZIONE "ROMA"
Un’opera titanica quella del Cantiere Navale “Roma” di Mondello, costata circa 45 milioni di lire, quasi 78 milioni di euro attuali, in cui nulla era stato lasciato al caso.

A Mondello intorno al1921 la Società di Navigazione “Roma” al Lloyd Meridionale, decise di fabbricare navi metalliche di medio e grande tonnellaggio e il cantiere dell’Addaura, che costruiva ancora navi in legno, venne trasformato radicalmente. Per realizzare il Cantiere “Roma”, il grande cantiere navale di Mondello, vi fu costruita all’interno una fornace per calce in grado di produrne 10t al giorno.

L’appalto fu conferito a  sette imprese costruttrici che si occuparono di movimenti di terra, di lavori in cemento armato e in muratura, di lavori da scalpellino e da eseguire a mare. La concessione del Demanio prevedeva l’utilizzo di un’area di 103.000 mq su due piani collegati fra loro da una strada, da gruppi di scale e da gru. Il primo, il piano della Darsena, a circa tre metri sul livello del mare, destinato all’approdo, all’allestimento e alle riparazioni dei piroscafi, con un bacino d’acqua di 50.000 mq, fu protetto con un molo lungo 450m., che fu realizzato con blocchi artificiali da circa 60 tonnellate ciascuno, fabbricati nella cava di Mondello alle falde del monte Gallo. In quel periodo rimorchiatori e bette[1] fanno la spola fra Capo Gallo e l’Addaura ed enormi pontoni a biga sono incessantemente al lavoro per la posa dei massi artificiali. Il secondo, il piano di lavoro, comprendeva invece tutte le officine e gli scali e si estendeva su una superficie di circa 50.000 mq. Ci volle più di un anno per realizzarlo a otto metri sul livello del mare, e 1000 operai, 9 martelli pneumatici collegati a due motocompressori mobili a benzina, due frantoi per brecciame e due betoniere furono impiegati nell’opera di innalzamento della scogliera, con lo sbancamento di circa 120.000 mc. di roccia sul versante nord del monte Pellegrino, per circa un chilometro.

Le officine, gli uffici ed i magazzini occupavano quasi 16.000mq. All’ingresso un fabbricato, per il controllo in entrata e in uscita degli operai e dei materiali, ospitava al primo piano gli alloggi per un capo portiere e un capo officina ed aveva a lato un garage per auto, camion e la rimessa tranviaria di due automotrici elettriche da 100HP e quattro rimorchiate (vagoni), che avrebbero costituito un valido servizio di trasporto per gli operai, non appena costruita la strada Vergine Maria-Mondello. Lo spogliatoio per gli operai dotato di servizi igienico-sanitarii, servizio lavanda (docce) e fontanelle con acqua potabile. L’infermeria ben attrezzata era ubicata nell’Ufficio del Capo Cantiere, poco prima degli scali, in cui venivano assemblati gli scafi. Gli scali erano quattro: larghi 8 metri, con una lunghezza di 150 metri la prima coppia e 170 la seconda, serviti da due gru elettriche a castelletto, da pali a traliccio mobili di tipo speciale e da sei Cabestans[2] elettrici trasportabili da 7 tonnellate.

Lo scalo di alaggio per materiali da varo e per lavori di manutenzione e riparazione di navi di media grandezza si trovava invece all’interno della Darsena. La sala a tracciare, il cervello del cantiere, aveva il pavimento in legno ed era situata al secondo piano di un edificio in cemento armato sopra i magazzini e gli Uffici tecnici e Amministrativi. Lunga 75 e larga 17,40 metri era una sala a tracciare speciale: archi e pilastri in cemento armato permettevano alla luce di entrare dalle finestre laterali, dalla facciata  e dal lucernario sul tetto senza incontrare ostacoli e di diffondersi in maniera uniforme. Il cuore era la cosiddetta “Centrale elettrica” in grado di erogare al cantiere tutta l’energia necessaria tramite due generatori diesel, quattro compressori e due pompe idrauliche.

Una nave cisterna riforniva la centrale di combustibile liquido pompandolo in tre serbatoi in cemento armato da 300t. I materiali per la lavorazione giungevano via terra e via mare: per mezzo di cinque camion e di sei gru locomobili a vapore erano smistati nelle varie officine e da qui nei singoli reparti, attraverso una rete di binari a scartamento, che si snodava nel cantiere per otto chilometri. I muscoli invece erano costituiti dalla “Grande Officina dei carpentieri e dei fabbri navali” con forni Hislop per lamiere e profilati, dall’ “Officina congegnatori – aggiustatori” con reparto utensileria, dall’ “Officina calderai e tubisti” con una fonderia per la ghisa da 2000Kg all’ora e infine dall’ “Officina falegnami, stipettai e modellisti”. Tre pompe da circa 150t di acqua all’ora alimentavano una rete di tubi e idranti ramificata in tutto il cantiere che supportata da una pompa mobile da 40t /ora assicurava un servizio antincendio impeccabile.

Un’opera titanica quella del Cantiere Navale “Roma” di Mondello, costata circa 45 milioni di lire, quasi 78 milioni di euro attuali, in cui nulla era stato lasciato al caso. Ma in un ordine del giorno, presentato da una numerosa commissione di operai del Cantiere Roma e pubblicato dal giornale L’Ora, risulta che gli operai riunitisi “…il 14 gennaio 1922 nei piazzali deserti di detto Cantiere in presenza delle grandiose macchine immote… sono ormai da più di mille che erano, ridotti a un centinaio appena, sempre col perpetuo pericolo di assottigliarsi e di uscirne tutti, data l’assoluta mancanza di lavoro che rende inattivo questo grande organismo industriale…”. In breve tempo attrezzature ed impianti furono smantellati e il Cantiere chiuse i battenti. Restarono inerti “i quattro candidi scali, fra le immote gigantesche grue che non conobbero il lavoro fecondo e la deserta malinconia dei fabbricati e degli spiazzali”.

 Alessandro Costanzo Matta


 

[1] bette: piccole navi ausiliarie

[2] un tipo di argano