11 marzo 2003

 

 

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NAVIMODELLISMO

UN’ARTE CHE ESCE DALL’OMBRA

 

Di Alessandro Costanzo Matta

 

(modellista Rosario Bianco: Amerigo Vespucci)

Un omino col compasso indica la scala del disegno della sezione maestra di un vascello. Con le braccia e le gambe divaricate, una X di nero inchiostro dal gesto atletico fissata alla base di un foglio. Si fa notare sotto rette e curve tracciate con maestria da Mattew Baker, capocarpentiere della regina Elisabetta, che per primo disegnò su carta il progetto di una nave. Per secoli i carpentieri seguirono le linee dei piani costruttivi, ma nella pratica erano intuito ed esperienza a prevalere. Il committente ordinava una nave con un baglio di nove metri  e alla consegna era di dieci. Così spesso la realtà confutava la precisione delle misure e un’ imbarcazione prendeva il largo lo stesso.

Nella metà del XIX secolo i primi scafi in ferro e acciaio, la macchina a vapore, una propulsione diversa e una serie di incognite imprevedibili. Non era più il tempo di improvvisare: anche un’inezia poteva fare la differenza.

William Froude, un ingegnere inglese ne è consapevole. Decide di eseguire esperimenti e verifiche su modelli di navi in scala ridotta. Sperimentare progetti costruendo niente di più grande di un giocattolo, gli permette di studiare scientificamente ogni singolo problema inerente la progettazione e la realizzazione di uno scafo. Navi e mari in miniatura costituirono da allora la regola in un cantiere navale all’avanguardia. E dall’impiego di “modellini”, per l’analisi delle componenti di rilevanti e complicati fenomeni, promana il sofisticato hobby del navimodellismo. Statico e dinamico. Con tutto il rispetto per quest’ultimo, in cui micro tecnologia , meccanica e velocità la fanno da padroni, il primo si carica di una valenza storica ed artistica davvero unica.

A Palermo l’Arsenale di via Cristoforo Colombo, 142 è da qualche anno cenacolo d’eccezione per gli appassionati di modellismo navale statico della città e dell’intera l’isola. Un passatempo pregnante di pazienza certosina, una forma di artigianato non elitaria, ma in quanto avulsa da un qualsivoglia aspetto consumistico, non inflazionata. Destinata pertanto ad una cerchia di estimatori doc e in grado tuttavia di incuriosire ed emozionare chiunque.

Il Museo del Mare dell'Arsenale annovera riproduzioni di navi di vario genere: dai maestosi velieri ai veloci brigantini, dalle galere agli sciabecchi, imbarcazioni di origine araba, armate con venti e più cannoni di diverso calibro. Emblematiche per l'Arsenale di Palermo, che le produsse nel XVIII sec. su commissione del governo spagnolo per uso militare e successivamente come unità mercantili, adibite alla circumnavigazione della Sicilia. E ancora luntri, sardare siciliane, lancitedde, la "Pietro Barbaro",  modello realizzato dall'omonimo cantiere costruttore, un barchino di uno yacht dei Florio, fino al diorama del relitto di una barca sulla spiaggia. La maggior parte sono opera di G.B. Provenzano, modellista navigato e versatile. Al Museo un po' tutti lo considerano il loro guru. Dai "gusci di noce" ai complicati galeoni duplicati in modo meticoloso, a modelli ricavati dallo studio attento di uno “scatto” fotografico più un pizzico di fantasia, si dedica a questo hobby da quando aveva nove anni. Da quando il padre gli insegnò a costruirle le barche, quelle vere. Si alza presto, alle quattro. Per lui l’orario migliore. Silenzio, mente fresca e soprattutto occhi riposati. La vista è sottoposta ad uno stress considerevole. Se fino a qualche anno fa posizionava i bozzelli ad occhio nudo, adesso usa quattro paia di occhiali e a volte la lente d’ingrandimento. Prima un chiodino riscaldato per praticare un semplice foro, ora piccoli trapani elettrici. Tagliabalsa e non più rudimentali coltellini.Ed anche la colla è cambiata. Quella a caldo, solida e puzzolente, dalla forma di lenticchie in sacchettini da cinquanta e cento lire, ha fatto il suo tempo.

La nave più laboriosa, mèta ambita di tutti gli aspiranti modellisti, è un tre ponti. Ricalcarne le linee richiede tempo, distribuito essenzialmente in tre fasi. Prima lo scafo, tre mesi. Circa dieci per l’alberatura, la parte più difficile. Accessori, particolari e rifiniture il tocco finale. Esprimere l’essenza stessa di una nave, sintesi perfetta fra resistenza ed elasticità, potenza e stabilità, non è cosa da poco né accessibile a tutti. Un distillato di genio e regolatezza che trasmette anche al profano armonia, vitalità, simbiosi con il mare.

All’interno dell’imponente cantiere borbonico si possono ammirare le fedeli copie in scala del San Felipe (la “Reale di Spagna) e il galeone olandese dell’ammiraglio De Ruyter, sfortunati vascelli della battaglia navale di Palermo del 1676. All’ingresso il “Cutty Sark” uno degli ultimi tea-clipper e la “Victory” di Horatio Nelson. Quella vera attraccò all’Arsenale nel 1799, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria da parte dei sovrani spagnoli al futuro eroe di Trafalgar, che li aveva tratti in salvo. Lunga 68 metri, 2.200 tonnellate, 104 cannoni su 5 solidi ponti, 4 uomini al timone, 8 con tempo cattivo. Un’unità da guerra insuperabile per quei tempi.Il modello dell’ammiraglia inglese ha tenuto inchiodato Provenzano nel suo laboratorio per ben quattordici mesi. Due dedicati allo studio teorico e altri dodici alla costruzione vera e propria. Circa duemila ore di lavoro. Paradossale, se si considera che già negli anni settanta era possibile produrre nel medesimo tempo sei petroliere da 70.000 tonnellate. Comprensibile, se si tiene conto che ogni singola parte dell’attrezzatura navale è fatta a mano. Velatura, alberatura, manovre fisse e persino correnti[1] non collocate tout-venant, ma con estrema precisione.Singolare la varietà di essenze legnose utilizzate. Douglas e faggio per lo scafo, compensato di pioppo per le ordinate, larice per il ponte, noce per la base degli alberi fatti di ramino nella parte superiore, tiglio e mogano per le sovrastrutture, passamano e rifiniture ancora in douglas. Per i cannoni solitamente d’ottone, quando sono fuori scala, si usa il faggio, legno duro, che si lavora bene. Sartie, griselle, stragli, draglie, paterazzi in refe, un filo molto resistente di diverse sezioni. La “pelle d’uovo” in gergo, un cotone leggero per le vele. Gli accessori compresi i bozzelli tutti rigorosamente in scala.

 Anche la nomenclatura ricalca i termini di un’autentica nave, familiari ai modellisti dell’Arsenale. Una decina, un pugno d’uomini, che ha preso l’abbrivo con entusiasmo nel far conoscere ai Palermitani quel ramo dell’arte modellistica correlato alle tradizioni marinare e marinaresche della nostra città.

“Chi si dedica al modellismo, generalmente non ha piacere a dire che sta realizzando un modello, preferisce mantenersi nell’ombra, nell’anonimato, perché questo hobby è sostanzialmente una passione interiore” afferma Rosario Bianco, giovane promettente. Vincitore, peraltro, della mostra concorso di Novembre al Loggiato San Bartolomeo con la sua "Vespucci". Che definisce scherzosamente il modellismo, e nella fattispecie quello navale, “roba da Carbonari”. Ma lui stesso e tanti altri hanno deciso di rompere un po’ con lo stereotipo del modellista riservato a tutti i costi. Sotto la sapiente guida di Provenzano, attualmente è alle prese con una “tartana”.Un’imbarcazione di origine provenzale, esportata poi in tutto il Mediterraneo. Piani orizzontale e longitudinale, sezioni e linee d’acqua, quelli originali del cantiere costruttore. Così esporre al Museo una nave del genere, va al di là della realizzazione fine a se stessa ed ha uno scopo divulgativo, in quanto ripercorre le tappe della marineria a vela dei nostri mari, ormai completamente cancellata dalla propulsione ad elica.

L’entità considerevole del lavoro è inversamente proporzionale al prezzo pagato. Spesso è il modellista stesso a rifiutare. Conscio, senza alcuna retorica, che in quel pezzo di legno apparentemente immobile, scorre un pezzo della propria vita. Del resto non c’è un mercato vero e proprio. Manca la forte connotazione commerciale preponderante negli altri settori dell’artigianato. E ventiduemilioni per la “Victory”…? Non li paga nessuno. Provenzano non si lascia scoraggiare. Continua imperterrito ancorandosi al ricordo di suo padre. Che lo ha sempre sostenuto a parole e con lo stupore di chi sa di trovarsi davanti a dei capolavori. Più facili da piazzare i modellini più piccoli, un po’ meno impegnativi. Prezzo inferiore e più allettante. Come le dieci “lancitedde”, che sta preparando per la futura mostra primaverile di Bruxelles.

I giovani dal canto loro, incalzati dalla filosofia del “tutto e subito”, prediligono il settore dinamico. Le ditte modellistiche si sono adeguate a quest’andazzo. Conseguenza, una forte penalizzazione per quello statico. Che registra una sempre maggiore difficoltà nel reperire materiali ed accessori specifici.

“A breve verrà presentato il progetto di massima per creare una scuola che invogli proprio i giovani e spieghi loro le varie fasi della realizzazione di un modello navale sia in teoria che in pratica. Che faccia emergere l’interessante aspetto di ricerca ed approfondimento storico-scientifico, inerente la creazione in scala di un’imbarcazione. Altro progetto che si ha in mente è di costituire un’associazione modellistica. Un’interfaccia fra la Sicilia ed il resto d’Europa, per scambi culturali e per sopperire alla carenza di materiale costruttivo.Questi gli obiettivi primari da innestare nella delicata opera di restauro, che per quattro anni coinvolgerà il cantiere seicentesco”, aggiunge Bianco.

In prospettiva di una scuola efficiente, l’allestimento in seno all’Arsenale di un laboratorio. Che si sta approntando, assicura il presidente Pietro Maniscalco, per supportare da subito l’attività dei modellisti siciliani. E già esperti e neofiti sono alacremente al lavoro in previsione delle mostre di ottobre.Si riuniscono ogni sabato dalle 9.30 alle 12.30 in via Cristoforo Colombo, pronti a dispensare informazioni e consigli utili a chi fosse interessato.

Un “ubi consistam” dunque l’Arsenale della Regia Marina Borbonica per tutti coloro che amano la cultura del mare. In tutte le sue forme, anche quelle miniaturizzate di barche e navi pronte a solcare le onde dell’immaginazione.


[1] Qualsiasi cavo guarnito agli alberi o alle vele che risulti mobile