29 marzo 2005


 

 

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MARE E FOTOGRAFIA
"MARE E COLORI DI PALERMO": MODELLISMO NAVALE E PITTURA PER RACCONTARE LA STORIA DI PALERMO ED IL SUO LEGAME CON IL MARE
Settimana santa all'insegna del modellismo nautico e dei colori offerti dal mare visti attraverso gli occhi di due mastri dell'Acquasanta, il modellista Giovan Battista Provenzano ed il pittore Ernesto Ercoleo. Antiche barche da pesca e suggestive immagini della costa siciliana hanno così appassionato i visitatori della mostra esposta a Palazzo delle Aquile.


di Alessandro Costanzo Matta

29/3/2005 – Si è chiusa il lunedì di Pasquetta la suggestiva mostra d’arte “Mare e colori di Palermo”, che nell’atrio di Palazzo delle Aquile per l’intera settimana pasquale ha incuriosito i molti turisti in visita nel capoluogo dell’isola.
Patrocinata dalla Presidenza del Comune di Palermo l’esposizione, attraverso il modellismo navale e la pittura, è stata un modo singolare ma efficace per raccontare la storia della nostra città e del suo profondo legame con il mare, una realtà spesso dimenticata.
Protagonisti due “maestri” della borgata marinara dell’Acquasanta, il modellista navale Giovan Battista Provenzano e il pittore Ernesto Ercoleo, accademico benemerito dell’Università G.Marconi di Roma. Oltre ai ritratti, ai paesaggi e alle nature morte nelle tele di Ercoleo c’è la costa palermitana con il suo mare, le sue vecchie tonnare e le sue barche.
Barche siciliane, che è stato possibile ammirare nelle fedeli ricostruzioni in scala del maestro Provenzano. Dalla sardara palermitana alla lancia palermitana anni ’20, dallo schifazzo, imbarcazione di punta dell’economia siciliana del XIX secolo allo schifo da trasporto del 1900. E ancora la riproduzione di una sardara catanese, di una marticana, dalle inconfondibili forme di origine araba, di un laotello del XVII secolo detto “sponzara”, imbarcazione di oltre 20 metri per la raccolta delle spugne nel nord Africa.
A pesca di pesce spada nello stretto di Messina con una feluca e con un luntru del XVI secolo in miniatura: la prima era una barca d’appoggio preposta all’avvistamento del pesce spada mentre la seconda si muoveva all’inseguimento della preda dopo aver ricevuto la segnalazione dall’uomo in cima all’albero della feluca. A seguire un luntru del XX secolo, più veloce rispetto al suo predecessore, e una spettacolare spadara feluca del XX secolo, che, per la sua particolare struttura sinergica della torre d’avvistamento con il lunghissimo ponte di prua, è riuscita da sola a sostituire la centenaria accoppiata “luntru – feluca”.
Delle autentiche chicche poi le riproduzioni della lancia da sbarco di uno degli yacht dei Florio, della galea reale di Francia del XVII sec. e del brigantino S. Elisa con cui il comandante palermitano Vincenzo Di Bartolo da Palermo giunse fino a Sumatra.
E mentre un gruppo di turisti provenienti da Malta si incanta davanti al modellino di una barca da pesca maltese, il maestro Provenzano ci spiega che la nave più laboriosa, mèta ambita di tutti gli aspiranti modellisti, è un tre ponti. Ricalcarne le linee richiede tempo, distribuito essenzialmente in tre fasi. Prima lo scafo, tre mesi. Circa dieci per l’alberatura, la parte più difficile. Accessori, particolari e rifiniture, il tocco finale. La realizzazione del modello della  “Victory” di Horatio Nelson, l’ammiraglia della flotta inglese, ha tenuto inchiodato Provenzano nel suo laboratorio per ben quattordici mesi. Due dedicati allo studio teorico e altri dodici alla costruzione vera e propria. Circa duemila ore di lavoro.
Giovan Battista Provenzano, modellista navigato e versatile, spazia dai "gusci di noce" ai complicati galeoni duplicati in modo meticoloso,  fino a modelli ricavati dallo studio attento di uno scatto fotografico più un pizzico di fantasia. Si dedica a questo hobby da quando aveva nove anni. Da quando il padre gli insegnò a costruirle le barche, quelle vere. Si alza presto, alle quattro. Per lui l’orario migliore. Silenzio, mente fresca e soprattutto occhi riposati. La vista è sottoposta ad uno stress considerevole. Se fino a qualche anno fa posizionava i bozzelli ad occhio nudo, adesso usa quattro paia di occhiali e a volte la lente d’ingrandimento. Prima un chiodino riscaldato per praticare un semplice foro, ora piccoli trapani elettrici. Tagliabalsa e non più rudimentali coltellini. Anche la colla è cambiata. Quella a caldo, solida e puzzolente, dalla forma di lenticchie in sacchettini da cinquanta e cento lire, ha fatto il suo tempo. Ogni singola parte dell’attrezzatura navale è fatta a mano. Velatura, alberatura, manovre fisse e persino correnti non collocate tout-venant, ma con estrema precisione. Singolare la varietà di essenze legnose utilizzate. Douglas e faggio per lo scafo, compensato di pioppo per le ordinate, larice per il ponte, noce per la base degli alberi fatti di ramino nella parte superiore, tiglio e mogano per le sovrastrutture, passamano e rifiniture ancora in douglas. Per i cannoni solitamente d’ottone, quando sono fuori scala, si usa il faggio, legno duro, che si lavora bene. Sartie, griselle, stragli, draglie, paterazzi in refe, un filo molto resistente di diverse sezioni. La “pelle d’uovo”, in gergo, è un cotone leggero per le vele. Gli accessori, compresi i bozzelli, tutti rigorosamente in scala. Esprimere con un modello l’essenza stessa di una nave, sintesi perfetta tra resistenza ed elasticità, potenza e stabilità, non è cosa da poco né accessibile a tutti. Un distillato di genio e regolatezza che trasmette anche al profano armonia, vitalità e simbiosi con il mare.