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Chico Forti: un personaggio scomodo

 

 di Alessandro Costanzo


“Ho paura di essere trasferito in un carcere di massima sicurezza, ma sono innocente. Aiutatemi!”. E’ l’appello lanciato nel 2000 dal produttore televisivo italiano Enrico Forti dal carcere di South Florida in una collect call, una chiamata a carico del consolato italiano di Brickel Avenue, a Miami. Da oltre cinque anni Enrico Forti, detto Chico è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Everglades C.I.…. Evitata la sedia elettrica per un pelo, dopo un processo durato ventiquattro giorni, il 15 giugno del 2000 è stato condannato al carcere a vita. L’accusa: omicidio di primo grado ai danni dell'australiano Dale Pike, figlio di un facoltoso imprenditore di nazionalita' inglese trapiantato ad Ibiza in Spagna, Anthony John Pike, soprannominato Tony. Il magistrato palermitano Lorenzo Matassa sta scrivendo un libro per fare chiarezza sulla vicenda dai risvolti inquietanti che nel 1998, negli Stati Uniti, coinvolse il film maker italiano. Ex campione di windsurf, nonché di quiz a Telemike, eccellente documentarista con speciali sugli sport estremi, Chico Forti da Trento si trasferisce in America, luogo consono alla sua intelligenza eclettica e al suo estro vulcanico. Si stabilisce nel “Sunshine State”, la Florida. Sposa una splendida miss californiana dalla quale ha tre figli. Vivono a William Island, quartiere esclusivo di Miami. A dichiararlo colpevole, una bugia. Soltanto una bugia, detta nel paese sbagliato, nel momento sbagliato e alle persone sbagliate. In America, patria delle contraddizioni, con la mente annebbiata dalla paura e senza alcun supporto legale, alla polizia di Miami, che precedentemente aveva definito corrotta, lui, Enrico Forti, mente. Da quel momento la sua vita va in stallo. Entra in una spirale incontrollabile in cui fatti, circostanze, coincidenze, singolarità generano una picchiata senza fine. Il punto di non ritorno sembrerebbe la condanna al carcere a vita, ma Chico Forti sta ancora precipitando e per lui l’incubo dello schianto è appena cominciato. Cercare di sbrogliare e spiegare in poche righe il groviglio inestricabile di questa brutta vicenda è praticamente impossibile. Quello che si può dire è che si tratta di una storia crudele, che gli ha rubato una moglie stupenda e tre figli meravigliosi, che al tempo stesso gli danno forza, determinazione e fede nell’andare avanti per dimostrare la sua innocenza. Un affair dai risvolti inquietanti, veri e propri coltelli affilati, i cui manici, a quanto pare, sono nelle mani di gente assai potente, che protegge alti papaveri del mondo del jet-set internazionale. Che, intoccabili, al minimo passo falso non si farebbero scrupoli nel far togliere di mezzo un personaggio tanto scomodo anche all’interno del carcere stesso. Una verità costellata di buchi neri. Come quelli collegati alle piume scure, che puzzano di fine, del piccione morto accanto al corpo di Gianni Versace o altri che hanno a che fare con l’affondamento della house boat in cui si era rifugiato il presunto assassino dello stilista, Andrew Philip Cunanan. Insondabili baratri di abiezione dei quali Chico Forti aveva cominciato a scardinare le porte in un suo documentario intitolato “Il sorriso della Medusa”, rendendosi conto dell’esistenza di stanze dai segreti inconfessabili. Qualcosa di grosso, di molto grosso. Misteri che non potranno né dovranno essere svelati per non alterare quella condizione di precario equilibrio, che potrebbe venir meno da un momento all’altro e che costituisce l’unica garanzia di incolumità per Chico. L’America è la terra dove si materializzano i sogni, il posto ideale per chi, come lui, nel cassetto ne ha, non uno, ma infiniti. Attenzione però, è anche la terra dove Sacco e Vanzetti furono giustiziati nel 1927 e riabilitati formalmente soltanto nel 1977. Una terra bellissima, che Enrico Forti, nonostante l’abbia tradito, continua ad amare. Un’abbagliante peripatetica che si concede al miglior offerente e si fa corrompere anche se è necessario neutralizzare un innocente. Incontentabilità, irrequietezza, eccesso di creatività nei confronti della vita e del mondo, si possono forse rimproverare a Chico. Ma che abbia ucciso Dale Pike, questo no. E non perché uno sportivo fino al midollo, come è e lo è sempre stato Enrico Forti, non potrebbe sparare alle spalle. Ma per il fatto che non esiste uno straccio di prova, eccetto una costruita ad arte e che poteva essere smontata all’istante se soltanto vi fosse stata la volontà di farlo. Così come si è volutamente insabbiata la chiave di volta del processo contro Forti data dall’assenza di un movente. Che, per il pubblico ministero, è da individuarsi nella truffa perpetrata dal Forti nei confronti del padre della vittima, Anthony John Pike, detto Tony. Proprietario ad Ibiza di un albergo, il Pikes Hotel, frequentato nel passato da star e personalità di caratura internazionale, ma che in quel momento sta attraversando un periodo di crisi. Forti vuole strappare a niente la proprietà a Tony Pike. Si fa intestare tutti i suoi averi, tutti i suoi conti correnti e, infine, anche l’albergo di Ibiza. “Greed” “Avidità” dirà il pubblico ministero R. Rubin al processo. Il figlio di Tony, Dale, si mette in mezzo per impedire la truffa e per questo Chico lo avrebbe ucciso. Ma per l’accusa di tentata truffa, circonvenzione d’incapace e appropriazione indebita Forti viene processato ed assolto. Senza alcun dubbio il movente decade, non esiste più. Clamoroso! Ed allora è incomprensibile come lo Stato, che esclude la fondatezza del movente, con cieca testardaggine ne faccia la propria arma più tagliente per accusare Chico di omicidio. Ed ancora è inammissibile in un paese democratico che un comprimario, se non addirittura attore protagonista e regista di questa terribile farsa, che si chiama Thomas Heinz Knott, se la cavi per il rotto della cuffia patteggiando con lo Stato proprio l’accusa di truffa ai danni di Tony Pike. Knott è un tennista tedesco, detenuto 4 anni in Germania proprio per truffa. Inimmaginabile poi che attualmente sospettato all’inizio anche lui dell’assassinio di Dale Pike, in forza del medesimo movente sia libero al sole di Ibiza a giocare a tennis con Tony Pike al Pikes Hotel. L’unica cosa certa è che Enrico Forti non ha avuto un giusto processo, quel fair trial o due process di cui gli americani si riempiono tanto la bocca, prospettandolo come garanzia infallibile della giustizia. Ed invece ancora una volta, come già dicevano i greci millenni fa, la giustizia ha dimostrato di essere una tela di ragno che trattiene gli insetti piccoli e si lascia attraversare da quelli grossi, che la bucano, restando liberi, in volo magari verso la Germania, la Spagna o non meglio identificati stati fantasma. Difficile individuare l’esatta combinazione per risolvere questo complicatissimo rompicapo, ma non impossibile. Un tentativo per dare forma alle verità nascoste in questo mostruoso poliedro dalle mille sfaccettature…… il libro


Al momento in cui si scrive egli attende l’esito della terza istanza di revisione della condanna per l’ottenimento di un nuovo processo l’unica scelta possibile, per Forti, è quella della revisione perché……

Al termine di un processo durato ventiquattro giorni, il 15 giugno 2000 la giuria lo condanna per omicidio di primo grado con arma da fuoco: ergastolo senza possibilità di liberazione fino alla fine della pena.
“Oltre il ragionevole dubbio” è ….