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Oltre il ragionevole dubbio 
(Il caso Forti)
 

Le circostanze

 

Se doveste raccontare il caso Forti a qualcuno in questo preciso istante della lettura del libro (quindi, prendendo in considerazione soltanto gli avvenimenti definiti certi e solo presentando nel racconto il complesso meccanismo del rapporto tra il dubbio e la ragione del processo indiziario) la vostra sintesi potrebbe essere questa:

«Forti si e' proprio ficcato nei guai. O e' l’assassino, oppure e' finito in un trappola pazzesca che qualcuno ha ordito ad arte. Hai voglia a dichiararti innocente se ti sei buttato nelle peggiori situazioni a testa in giu', come dentro una piscina…Voglio dire: di che si lamenta questo Forti? La causa principale di tutte le sue sventure e' stato lui stesso. Intanto, secondo l’accusa, ci sarebbe un movente basato sulla truffa. Avrebbe approfittato insieme a quel Thomas Knott di un vecchio, malato e incapace Anthony John Pike per acquistare, a basso prezzo, un albergo di valore.
Il figlio del vecchio andava a Miami per discutere la questione. Aveva in mano una procura generale del padre e, probabilmente, avrebbe revocato ogni contratto non favorevole.
C’era piu' di una ragione per farlo fuori…». Poi c’e' la “pesante” circostanza che circa quattro mesi prima dell’omicidio, Knott aveva comprato pagandole con la carta di credito di Forti delle armi, tra cui una calibro .22: lo stesso calibro dei due proiettili che hanno ucciso. Bisogna essere proprio sfortunati per subire una circostanza del genere…

Si sa che basta confrontare i proiettili trovati nel cranio della vittima con quelli sparati dall’arma per avere la certezza se sia stata effettivamente quella l’arma utilizzata oppure no: la canna della pistola lascia striature e tracce uniche e non confondibili. Strano, pero', che l’arma comprata con la carta di credito del Forti e registrata a nome Knott non sia stata mai ritrovata.

E che coincidenza quella del prelievo di Dale in aeroporto!

e' certo che Dale Pike viene ucciso non piu' di quattro ore dopo l’ultimo pasto, perche' il medico legale dira' che il suo intestino non aveva fatto in tempo a digerire l’arancia che aveva mangiato. L’ultimo pasto la vittima lo consuma in aereo. Questo e' certo, perche' nell’istruttoria del processo e' acquisito il menu' offerto dalla compagnia aerea Iberia ai suoi passeggeri: tra gli alimenti c’erano le arance.

e' noto che circa un’ora prima dell’atterraggio, nel rispetto delle regole generali connesse al protocollo di sicurezza dei voli, si chiudono i tavolini pieghevoli e cessa ogni tipo di servizio. L’aereo atterra prima delle 16:58, momento in cui c’e' stato il primo tentativo di contatto via paging tra Dale ed Enrico Forti.

L’ultimo tentativo di contatto via paging tra la vittima e Forti e' alle 18:15 perche' questo e' il momento in cui, con presunzione assai ragionevole, i due si incontrano all’aeroporto. In quel preciso istante sono passate due ore da quando Dale Pike ha ingerito l’ultimo pasto.

Mancano meno di due ore alla fine della sua vita.

In due ore, due ore soltanto, il destino di morte della vittima si sara' compiuto.

Con chi passa quel lasso di tempo lo sventurato Dale Pike?

Strana coincidenza, ma parte di quelle due ore le trascorre sicuramente con Chico Forti.

Quest’ultima non e' una deduzione logica, ma un’ammissione dello stesso imputato.

Ammissione tardiva, perche' alla polizia – come si e' detto – Forti aveva riferito di non aver mai conosciuto la vittima, di essere andato in aeroporto per prendere Dale ma che non era mai arrivato, salvo poi ricredersi e, solo dopo contestazioni, ammettere.

Strano, no?

         Ecco la cartina stradale di Miami: sopra questa mappa ho provato a indicare il tragitto che Forti ha fatto con il suo fuoristrada dopo aver prelevato Dale Pike.
 

 

La piantina di Miami
ingrandimento


Il percorso per andare dall’aeroporto di Miami a Williams Island o verso F.t Lauderdale doveva dirigersi a nord (linea viola).

Quello che il Forti fece andava in direzione opposta, verso Sud, per accompagnare Dale a Virginia Key e successivamente ritonare verso Nord per andare a prendere il suocero e i suoi figli in arrivo da New York all’aeroporto di F.t Lauderdale, dove arrivo' alle or 20.

I tempi di percorrenza, considerati i limiti di velocita', sono molto ristretti, nel senso che inducono a ritenere che, in un momento molto prossimo a quello della morte della vittima, Forti fosse in sua compagnia o che Dale fosse in compagnia di qualcuno al quale Forti lo aveva lasciato, ma da pochissimo tempo.  

 

***

 

A questo punto del racconto il vostro interlocutore, anche il piu' garantista, vi direbbe che non crede alla possibile innocenza di Forti e che, anzi, ci sono dei presupposti concreti e ragionevoli per ritenerlo colpevole dell’omicidio.

Pero', per tutta risposta, voi – che avete conosciuto le necessita' del processo penale vigente negli Stati Uniti – dovreste ribattere che non e' proprio cosi', perche' per condannare qualcuno bisogna giudicare oltre ogni ragionevole dubbio.

Il vostro interlocutore potrebbe chiedervi stupito: «Perche'? Quali sono i dubbi di questa ricostruzione? Non ne vedo! A uccidere Dale Pike e' stato Forti perche' tutte le circostanze, di tempo, di luogo e di azione fanno emergere la sua responsabilita'».

Ma voi potreste anche far vacillare quella certezza che lo condanna con questa risposta: «Bravo. Hai detto bene… le circostanze… ma io non ti ho ancora parlato delle circostanze. Io ti ho riferito solo i fatti per i quali sembra ci siano riscontri di certezza».

Il vostro interlocutore probabilmente vi confessera' di non aver capito.

«Se la mia opinione si e' formata su dati certi, a maggior ragione le circostanze la comproveranno la colpevolezza di Forti…».

«Non e' affatto cosi', caro mio! Non e' assolutamente cosi', perche' proprio l’esame delle circostanze comincia a delineare all’orizzonte quel piccolo, microscopico dubbio, quell’impercettibile graffio sulla parete della diga che, d’un tratto, puo' trasformarsi in una breccia che travolge e annienta. Ecco perche' le circostanze di questa vicenda diventano importantissime per capire che cosa e' accaduto…».

«Sono disorientato», vi direbbe il vostro interlocutore.

«Mi hai consegnato una certezza, mi hai fatto credere che Forti sia, in effetti, il colpevole per poi insinuare il dubbio che non lo sia».

«Non sono io che ti destabilizzo. e' il procedere argomentativo cartesiano. Questo e' cio' che esige il popolo americano, cio' che vogliono le Corti di quel Paese e non certo io, che sono solo un narratore».

«E, allora, quali sono i ragionevoli dubbi di questa vicenda?».

«L’imputato sostiene che ha accompagnato la vittima in un luogo dove avrebbe avuto un appuntamento con qualcuno che guidava una Lexus bianca…».

«Non e' una cosa credibile ne' ragionevole».

«E se fosse vero? L’imputato dice che Thomas Knott, l’amico piu' stretto del padre della vittima, nutriva un interesse specifico negli affari patrimoniali di quest’ultimo e quindi anche lui poteva avere un ottimo movente per uccidere. Non dimenticarti l’arma calibro .22».

«Ma dai! Non e' Forti che va a prendere Dale Pike all’aeroporto?».

«e' vero, ma alla fine chi prende materialmente il denaro dell’incapace Pike e' proprio Knott e non Forti. E poi Forti sostiene che la mattina del 15 febbraio 1998, quando Dale venne ucciso, fu Knott a comunicare al Forti di essere a conoscenza che sarebbe andato a prenderlo all’aeroporto. Forti rimase sorpreso di questo poiche' non si aspettava che Knott fosse al corrente dell’arrivo di Dale Pike».

«Anche in questo caso, non e' credibile ne' ragionevole».

«Ripeto: e se fosse vero?».

«Pero' Forti ha detto delle bugie…».

«e' cosi'. Ha mentito su un punto fondamentale. Ma puo' averlo fatto per paura o perche' si e' visto incastrato e ha cercato, anche se in modo maldestro, di prendere tempo. O forse ha tentato una difesa infantile, irragionevole. Proprio questo, paradossalmente, potrebbe testimoniare a suo favore, sviluppare un dubbio… E poi bisogna ammettere che vi e' piu' di un dato che urta la ragionevolezza. Enrico Forti e' un uomo molto intelligente e di grado culturalmente elevato. Soprattutto egli ha a sua disposizione diversi mezzi materiali. Alludo, ad esempio, alla barca o all’aereo da turismo. Se veramente egli voleva eliminare Dale preparandosi un alibi inattaccabile, vi era tempo per farlo e sarebbe bastata una gita nelle paludi delle Everglades infestate da voracissimi coccodrilli. e' un dato di fatto che l’eliminazione del figlio di Tony non recava alcun vantaggio economico alla trattativa e, al contrario, quella morte poteva soltanto creare un pregiudizio come in effetti e' avvenuto».

«E allora?».

«Allora bisogna esaminare con attenzione tutte le circostanze. Una per una».

 

***

 

Qui finisce il dialogo immaginario e ricomincia il racconto della vicenda. Ma abbiamo capito qualcosa in piu'.

Nell’assassinio di Dale Pike la valutazione di ogni circostanza, vera o falsa che sia, diventa importantissima perche' o ci allontana definitivamente dal dubbio o serve a demolire quelle certezze che fino a questo momento abbiamo cercato di mettere insieme.

Allora, e' anche opportuno definirla bene questa parola, circostanza, se puo' determinare la vita o la morte di un imputato nello Stato della Florida. e' fondamentale capirne il significato.

L’etimologia latina (circum stat, sta attorno) ci aiuta nella comprensione. Tutto cio' che sta vicino all’evento principale, senza averlo determinato o in qualche modo condizionato, e' circostanza. Si definiscono di luogo, di tempo o di azione a seconda del contesto in cui si ritrovano: nello spazio in cui il delitto e' avvenuto; prima, dopo o durante il fatto; nelle modalita' di comportamento di tutti coloro che al fatto hanno partecipato.

Allora chiediamoci cosa sta intorno all’omicidio di Dale Pike, a cominciare dalle circostanze di luogo.

Abbiamo gia' detto che sotto il collo del cadavere la polizia ritrovo' un guanto sinistro. Con ragionevole probabilita' (ma nessuna certezza) quel guanto era stato indossato dall’omicida.

Ho detto omicida? Ma siamo proprio sicuri che l’assassino sia stato uno solo?

L’imputazione ascritta a Forti annovera, tra quelle possibili, l’ipotesi di piu' assassini:

Per avere il Forti Enrico personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike.

Ma l’esame del guanto consegna dei risultati sorprendenti.

Dentro quel guanto vi sono tracce di DNA appartenenti a due soggetti diversi.

Sull’interpretazione tecnica e scientifica di quel ritrovamento si scatena un putiferio. Una delle due tracce e' di certo quella di una donna adulta. L’altra non sembra essere esattamente individuabile, nel senso che non c’e' alcuna certezza tecnica che possa appartenere a un maschio adulto. L’accusa afferma, invece, che si tratta proprio di un maschio. Quindi nel delitto potrebbe esserci la compartecipazione di una donna oppure – circostanza, questa, da annoverare tra le cose probabili – una donna ha soltanto toccato quel guanto prima che lo usasse l’assassino, o gli assassini. Oppure quel guanto e' stato messo sotto il collo del cadavere per depistare.

Il panorama probatorio si complica notevolmente.

Se mai una donna ha partecipato a quel crimine, chi potrebbe essere?

L’attenzione si appunta sulla moglie di Enrico Forti, Heather Crane: bellissima californiana, ex Miss America costa occidentale per l’anno 1990 e madre di tre figli piccoli. Ma Heather ha un alibi di ferro: al momento dell’omicidio e' a casa con i bambini, e il marito le telefona piu' volte dalle 16:00 in poi di quel tragico pomeriggio del 15 febbraio 1998.

La moglie di Forti avra' un ruolo processuale molto importante perche' non potra' negare alcune circostanze che faranno rilevare come il marito non sia stato sincero. A lei, per prima, Enrico Forti racconta di avere aspettato invano l’arrivo di Dale all’aeroporto di Miami e che alla fine quell’attesa si era risolta in un mancato arrivo (ore 19:16 circa).

Se la menzogna alla polizia Chico la giustifica con la paura, questa e' un po’ meno giustificabile.

Come spiega Forti la bugia nei confronti della moglie? La motivazione non e' delle migliori:

l’imputato sostiene che proprio nel pomeriggio in cui Pike doveva essere prelevato all’aeroporto di Miami, era previsto anche l’arrivo del padre di Heather nel piu' lontano scalo aereo di Fort Lauderdale (circa ottanta chilometri a nord) alle 19:00 circa.  L’attesa di Pike e il ritardato arrivo dell’aereo (che, come abbiamo gia' visto, e' una circostanza certa) avevano ritardato pure i tempi di arrivo a Fort Lauderdale. Quindi, solo per evitare rimbrotti da parte della moglie, la bugia era servita a Forti per tenerla tranquilla nell’attesa di un arrivo rapido all’aeroporto piu' distante.

e' facile osservare che solo tanta improvvisazione sostiene la menzogna e che, se esiste un motivo per il quale Forti menti' alla moglie sull’arrivo di Dale Pike, ha la stessa natura di quello che l’imputato ha espresso davanti alla polizia.

In parole piu' crude, Forti non poteva certo dire alla moglie: «Sai, e' arrivato Dale. L’ho portato dove voleva Thomas Knott e ho il sospetto che gli sia capitato qualcosa di brutto… pero', non ti preoccupare: adesso vado a prendere tuo padre». Certo non poteva raccontarle tutto questo. Ma solo cosi' la sua bugia ha un senso piu' compiuto, una compiutezza terribilmente vicina anche ad un’eventuale condanna a morte.

Abbiamo anche detto che sara' Heather a non confermare l’asserzione del marito secondo la quale il mattino del 15 febbraio Thomas Knott si sarebbe recato a casa loro. Infatti Forti afferma che Knott quel giorno non entro' in casa. Ma Heather crede fino in fondo all’innocenza di Chico ed e' davvero convinta che piu' di una persona abbia tramato contro di lui per incastrarlo. 

Heather non sara' la sola destinataria di menzogne relative all’arrivo (o meglio al mancato arrivo) di Dale Pike all’aeroporto di Miami: l’indomani nel tardo pomeriggio del 16 febbraio 1998 Forti telefono' al  padre della vittima: Anthony John Pike. Forti gli comunico' di non aver visto Dale, lasciando credere che non era mai giunto a destinazione, mentre Tony manifestava la certezza che Dale avesse preso quell’aereo per Miami.

Un altro testimone della bugia di Forti e' il suo procuratore legale, Paul Steinberg. Anche a lui Chico comunico' il pomeriggio del 15 febbraio la circostanza del mancato arrivo ma, di fatto, nel momento in cui avvenne la conversazione, Dale non era, in effetti, ancora arrivato. Anche al suocero, Eric Crane, che attendeva il genero all’aeroporto di Fort Lauderdale, Forti comunico' che Dale non era arrivato a Miami e che l’inutile attesa del suo arrivo era da considerarsi il motivo del ritardo. ???

Menzogne importanti, dice l’accusa nel corso della requisitoria che esamineremo. Perche' – logicamente e ragionevolmente – «non si afferma di non avere visto qualcuno che invece si e' visto se non perche' si ha la coscienza che quell’uomo non sara' mai piu' visto da nessun altro».

Argomentazione complicata ma molto vicina alla verita'.

Pero' – ed ecco il dubbio cartesiano – si puo' anche logicamente e ragionevolmente ritenere che la menzogna nasca dalla consapevolezza che il soggetto che mente ha conosciuto la tragica verita' che lo coinvolge e tenti di allontanare da se' il sospetto.

Anche questa argomentazione risulta cervellotica e complicata. Ma tutto l’affare Forti e' complicato… e, allora, che dire su questa bugia?

La deduzione giuridicamente piu' corretta e' quella che deve essere assunta in relazione a ogni circostanza del delitto, in ogni giusto processo, a ogni latitudine: le menzogne devono essere valutate liberamente dai giudici per dichiarare o negare la colpevolezza.

Ma e' erroneo tradurre in modo automatico una bugia in colpevolezza.

Passiamo adesso a esaminare un’altra circostanza che coinvolge il tempo, il luogo e l’azione in cui il delitto si e' svolto. Si tratta di un vero e proprio cavallo di battaglia dell’accusa che spedira' Forti dritto dritto davanti ai giudici di Miami in stato di custodia cautelare, senza alcuna possibilita' di liberazione su cauzione (la cosiddetta parole spesso descritta nei romanzi gialli).

Venti mesi circa distanziano l’omicidio di Pike dall’arresto di Forti, se si considera che il primo arresto e' per il reato di circonvenzione d’incapace e truffa. In quel lungo volgere di tempo la polizia di Miami esamina ogni dettaglio e – a onor del vero e a merito di giustizia – non ritiene di fondare l’arresto di Forti sulla base delle menzogne, ne' sul rilievo degli avvenimenti accaduti dopo l’atterraggio di Dale a Miami e neppure sulla disponibilita' di una pistola calibro .22 mai ritrovata.

La polizia esige una prova inoppugnabile, che valga la condanna all’ergastolo…

Quella prova nasce da un dettaglio all’apparenza insignificante.

Abbiamo detto che Enrico Forti fu invitato a presentarsi alla polizia di Miami il giorno 19 febbraio 1998, quando ormai l’identita' del cadavere rinvenuto nel boschetto al limite della spiaggia di Sewer Beach, nell’isola di Virgina Key, era nota.

Attenzione a quest’ultimo passaggio: cadavere rinvenuto sulla spiaggia.

Forti dice di non aver frequentato la spiaggia di Sewer Beach almeno in tempi recenti.

Sua moglie Heather testimonia che vi era andato, in passato, per fare windsurf.

Alla polizia Forti nega di essere stato su quella spiaggia il 15 febbraio. e' certo pero' che prima di andare alla polizia, l’auto (un fuoristrada) viene portata al lavaggio, come di consuetudine ogni mercoledi'. Auto che poi viene sottoposta a sequestro e prelievo di campioni, ma sulla quale non si trovano ne' tracce di impronte ne' il sangue della vittima. Proprio questa circostanza sembro' molto singolare agli investigatori, se non altro perche' la presenza della vittima dentro l’auto, nel percorso tra l’aeroporto e il parcheggio del ristorante Rusty Pelican, l’aveva ammessa anche l’imputato.

Quindi la pulizia dell’auto era stata particolarmente accurata. Questo, almeno, era il sospetto fin dall’inizio dell’affaire. Importante far notare comunque che l’auto fu lavata il mercoledi' successivo, tre giorni dopo l’assassinio di Dale Pike e il giorno prima della deposizione.

Quaranta giorni dopo il sequestro del fuoristrada “un colpo di fortuna” assiste la polizia: nella parte posteriore dell’auto, tolto il gancio di traino, all’interno dell’apposito innesto gli agenti ritrovano alcuni microscopici granelli. E sono granelli di sabbia.

La sabbia viene sottoposta a esame dal perito Harold Wanless, uno specialista in materia di analisi chimiche e fisiche di tipo comparativo, uomo molto stimato presso l’FBI.

Il responso folgora il pubblico accusatore: la sabbia trovata e' la stessa del tipo presente nel luogo dell’omicidio. Forti, quindi, avrebbe mentito su una circostanza che vale la possibile condanna a morte.

Per l’accusatore, l’imputato era accanto a Dale quando fu ucciso. Non importa sapere se fu lui a sparare o se si limito' a far scendere il giovane Pike dall’autovettura: basta sapere che calpestava lo stesso suolo della vittima mentre quest’ultima veniva trafitta dai colpi mortali di una calibro .22.

Sufficit, dicevano gli antichi Romani.

Per questo il pubblico ministero dice quella frase all’apparenza incomprensibile che ho trascritto nell’epigrafe del libro: Lo Stato non ha bisogno di provare che Forti e' il killer per provare che proprio lui sia stato il colpevole dell’omicidio

Ma (la congiunzione che introduce l’avversativa e' il concentrato del dubbio cartesiano) c’e' qualcosa in questa analisi comparativa che fa insorgere la difesa e la induce a ritenere che esista un complotto accusatorio.

«Come si fa a sostenere una cosa simile?», reagisce il famoso avvocato Bierman che assiste Forti in dibattimento insieme al suo collega Loewy.

«Come si puo' affermare che vi sia identita' tra la sabbia rinvenuta e quella di Sewer Beach, se tutta la sabbia della Florida e' di unica derivazione geologica per centinaia di chilometri?».

Forse si potrebbe parlare di compatibilita', ma non certo di identita'.

L’obiezione appare fondata e rispettosa dei principi della ragionevolezza. In altri termini, quella sabbia ha la sostanza di un dubbio e non la consistenza di una prova.

Ma c’e' un’altra questione che la difesa solleva ormai non piu' velatamente: il ritrovamento di quella sabbia, nei termini e nei modi che la polizia ha indicato, dimostra che qualcuno sta giocando con le prove e con la sorte dell’imputato.

Se l’auto era stata pulita con particolare attenzione nel rimuovere ogni possibile traccia, come mai si era ritrovata proprio la sabbia di Sewer Beach? E quaranta giorni dopo che la macchina era sottosequestro della polizia e gia' ispezionata per tre volte?

Perche' escludere che qualcuno l’avesse messa li' di proposito?

Perche' escludere che la sabbia fosse un’incrostazione o un residuo permanente?

Si puo' dire scientificamente certo un rilievo comparativo che non pone a confronto tutte le sabbie, di tutte le spiagge, di tutte le isole e le penisole del litorale della Florida?
E non per ultimo il fatto che l’accesso a Sewer Beach e' interdetto alle auto dalle ore 18:00 in poi con la chiusura del passo per ordinanza delle autorita' competenti. e' provato che Forti che alle 18:30 si trovava ancora all’ aeroporto di Miami.

Descartes avrebbe detto: «Bravi. Il dubbio e' fondato, concreto, ragionevole».

Ma quello che induce la difesa a prospettare l’esistenza di un preconcetto ingiusto dell’accusa e di una contraffazione del procedimento evolutivo dell’investigazione e' il rilievo connesso a un’altra circostanza (come se gia' non ce ne fossero tante, in questo affare complicatissimo).

Provo a sintetizzare l’obiezione sollevata dalla difesa: se nel guanto trovato sotto il collo del cadavere erano state evidenziate tracce di DNA femminile (e, per l’accusa, anche di un uomo adulto), perche' mai gli investigatori non avevano diretto la loro attenzione sul singolare pomeriggio di Thomas Knott e della sua amica occasionale Carmen Page? Soprattutto dopo che la possibile compartecipazione criminosa della moglie di Forti, Heather, era stata esclusa da un alibi insuperabile…

La risposta aveva la stessa motivazione della domanda: perche' Carmen Page e Thomas Knott avevano anche loro un alibi. Erano stati insieme nell’appartamento di quest’ultimo a Williams Island e li' erano stati raggiunti dopo le 19:00 da alcuni amici, tra i quali anche l’avvocato di Knott, Keith Marshall.

e' su questo punto che la difesa di Forti denuncia il preconcetto e l’ingiustizia processuale: che alibi e' quello di due persone entrambe in possibile sospetto di correita' omicida? e' evidente che si proteggano l’un l’altra. Erano insieme… e' evidente che erano insieme, ma a far cosa? Perche' l’affermazione di estraneita' resa da Knott non viene verificata su tutta la linea, mentre quella di Forti viene sondata e sezionata a ogni microscopico passaggio?

Eppure tra Forti e Knott si puo' dire che esista equivalenza di sospetto indiziario.

Descartes avrebbe sorriso di compiacimento alle parole del difensore. In effetti, quella diversita' di trattamento incide in modo prepotente sul verdetto finale. Essa condiziona – come vedremo – la fondamentale e intoccabile regola secondo cui tutti i cittadini hanno diritto a un giusto processo (the fair trial or due process) in cui tutto il panorama delle prove viene enucleato in contraddittorio, davanti alla Corte, e l’imputato ha la possibilita' di dimostrare con ogni mezzo la propria innocenza.

Continua... La trappola