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Gabriele Nuzzo

UN LUNGO VIAGGIO

DI PIER PAOLO RAFFA

 Durante lo scorso anno, alla fine di Settembre, Filippo, Gianni ed io, con lo YUK, sloop di 49 piedi, partivamo per la prima parte di un probabile giro del mondo in barca a vela.

Senza nessuna fretta, senza nessun agonismo, con una eccellente barca, ben attrezzati e sufficientemente consapevoli di ciò cui si poteva andare incontro. Salpammo durante la piovosa mattina del 25 Settembre, alle 12, dal pontile della "Canottieri" alla Cala dove, a salutarci, c’era un piccolo gruppo di parenti ed amici tutti molto emozionati, e tra gli altri anche il Sindaco della Città, Leoluca Orlando.

Per noi tre l’idea di partire per un lungo viaggio in barca, in quel momento, era una scelta assolutamente irrinunciabile, premeditata da molto tempo e la cui realizzazione cominciava proprio allora. Nessuno di noi aveva la benché minima incertezza su quel viaggio: serenità, equilibrio, tranquillità era ciò che cercavamo e ciò che abbiamo poi avuto.

Filippo e Gianni si conoscevano da molto tempo, io invece ho conosciuto Filippo in seguito ad una "voce" di banchina che mi informava di una sua probabile partenza in Autunno......Presentazioni, poche parole, un appuntamento a settembre, chi c’era, c’era.....

Poco prima di partire ci riconfermammo il programma senza peraltro mai vederci prima, nessuno di noi due riteneva che fosse necessario conoscere meglio l’altro, ma in barca è così, si parte o si resta a terra.

Con Gianni ci eravamo incontrati pochi giorni prima di partire, in occasione degli ultimi ritocchi alla barca. Per questo viaggio aveva appena dato le dimissioni dal suo incarico di Dirigente al Comune, DOVEVA partire.

Io invece avevo appena riacquistato la libertà dopo una serie di impegni e di stress, mi ero appena laureato, ero infine libero dagli obblighi militari e prevedevo di restare in viaggio per tre o quattro mesi in giro per il mondo, ma non soltanto in barca.

Infine quella mattina del 25 settembre partimmo, salutati dal compiacimento di alcuni e dall’incredulità di altri.

Usciti dal porto e ormai soli, accompagnati dai rumori della barca, della pioggia e dei cantieri navali, guardavamo la città che sia allontanava sulla sinistra e commentavamo tra noi quel momento; partire in una barca a vela completamente attrezzata, vestiti di tutto punto, con un cielo scuro, la pioggia, poca luce, ci dava l’impressione di una vera "partenza atlantica" più che mediterranea. Era per noi abbastanza emozionante e per chi ci salutava da terra, probabilmente ancora di più.

Il "Comandante" era senza dubbio Filippo, e noi due l’ "equipaggio", quando si è in tre in una barca, insieme per un lungo viaggio, in breve tempo, istintivamente, si definiscono i rispettivi compiti in base alle necessità della vita a bordo, delle attitudini di ciascuno e delle preferenze, cercando di non creare mai quelle sovrapposizioni di compiti che inevitabilmente porterebbero a spiacevoli discussioni. Infatti, chi va in barca abitualmente non ama discutere inutilmente, e sa che é fondamentale avere una dimensione privata che, tacitamente, viene rispettata dagli altri reciprocamente: soltanto così si ottiene quell’equilibrio necessario per vivere in un ambiente ristretto ed in ogni condizione di navigazione.

La prima notte abbiamo dormito nel porto di una S. Vito Lo Capo deserta, ripartendo poi all’alba verso il sud della Sardegna.

In navigazione con tempo favorevole, se tutto è in ordine, non c’é molto da fare, si controllano le regolazioni delle vele, si fila una lenza, si legge, si guarda il mare.

La nostra biblioteca di bordo era ricchissima: i libri sul mare, sulla meteorologia, sulla cucina, sulla fauna marina, sulla narrativa di viaggio. Per tutto il tempo sono stati una grande e necessaria compagnia che spesso ci trasportava piacevolmente in ulteriori viaggi.

Nessuna nostalgia ci ha mai colpito, si partiva per vedere "cose" nuove, per conoscere e per fare nuove esperienze.

Come dicevo, a parte i turni di guardia, ciascuno si era attribuito dei compiti preferenziali: Filippo era il Comandante ed il Navigatore, Gianni pescava o suonava, io mi occupavo di far mangiare bene l’equipaggio.

La cambusa della barca era riccamente fornita di tutto ciò che serve per non fare rimpiangere un buon ristorante comprendendo anche vini selezionati, olio d’oliva extra, sale grezzo delle Saline, formaggi artigianali, spezie da tutto il Mediterraneo, condimenti vari, marmellate e biscotti di tutti i tipi, e quant’altro necessario per non negare la natura umana mangiando scatolette.

La pesca, però, era sì ricca, ma monotona: abboccavano infatti immancabilmente grossi "Caponi" di circa uno o due chilogrammi che venivano trasformati a pranzo o a cena in gustosi manicaretti sempre diversi. I pasti, in crociera, sono un importante momento di incontro dell’equipaggio, peraltro obbligatorio, la cui qualità non va sprecata rendendolo spiacevole con cibi approssimativi.

A pranzo, come diceva un amico armatore, si deve risolvere ogni problema.

Ritengo la navigazione prolungata una esperienza "minimalista": vivendo in barca c’é da osservare il mare sempre uguale e sempre diverso, ascoltare i rumori sempre uguali e sempre diversi, come il vento, l’umidità dell’aria, i movimenti della barca.

Si stava bene.

In Sardegna ci siamo fermati una notte presso l’isola di Carloforte per poi ripartire verso le Baleari.

Minorca, Maiorca, Cabrera sono state le nostre tappe: splendide isole con bellissimi porti e rade naturali molto protette ed accoglienti.

Arrivando in Territorio spagnolo fu subito evidente, lasciandoci spesso stupefatti, l’alto livello generale delle strutture per il turismo nautico; in un inevitabile confronto con la Sicilia e le sue isole, splendide non per l’opera dell’uomo ma grazie alla loro stessa natura, non ci restava che l’amaro in bocca di un giudizio fortemente negativo per la nostra terra, in rapporto a ciò che vivevamo.

Il viaggio continuava verso Sud, lungo la costa della Spagna, toccando con brevi tappe giornaliere, rade e porti sempre accoglienti.

Infine, siamo arrivati a Gibilterra il 17 ottobre. Gibilterra è indubbiamente un luogo mitico: le colonne d’Ercole, il porto al di là del quale vivono i "Mostri", le nostre paure, l’ignoto.

Il territorio di questa colonia inglese è quasi interamente costituito da un alto e ripido promontorio emergente dalla pianura circostante, proteso sul mare, e che concentra quasi sempre su di sé, un pò come il Monte Erice a Trapani, una cappa di nubi scure e minacciose che rendono il clima in quella zona fresco e spesso piovoso, in forte contrasto con la confinante zona spagnola dove il clima è invece caldo ed assolato.

Avendo sbrigato le formalità per la permanenza nel porto, dove erano numerose le barche di altri navigatori oceanici, scoprimmo che nella realtà quotidiana Gibilterra, pur confinando con la Spagna ed essendo a pochi chilometri dalle coste del Marocco, è in tutto e per tutto Inghilterra, dalla moneta alla lingua, dal cibo alle abitudini e, a dire il vero, la cosa non ci entusiasmava troppo.

A pochi metri dal porto turistico si sviluppa, a pelo d’acqua, l'aeroporto internazionale che è anche, in qualche modo, il confine tra i due stati;.La pista taglia l’unica strada di collegamento: nota curiosa, quando atterrano gli aerei il traffico dei veicoli viene bloccato da un passaggio a livello del tutto simile a quello dei treni.

Passammo qualche giorno a Gibilterra, dove aspettavamo alcune attrezzature per la barca, quindi abbiamo accolto con noi Lia, la moglie di Filippo, che da questa tappa sarà in barca fino ai Caraibi e ci siamo trasferiti con una bella veleggiata al traverso, nella più accogliente (ed economica) città di Ceuta, storica enclave spagnola in territorio Marocchino.

Da questa piacevole cittadina, localizzata proprio di fronte Gibilterra, è possibile fare escursioni nelle città del nord del Marocco, Tétouan e Tangeri, facendo un salto in un atipico Nord-Africa dove si parla, oltre l’arabo, più lo spagnolo che il francese.

A Ceuta, porto franco, tutti gli acquisti ed i rifornimenti sono molto più economici che a Gibilterra dove il costo della vita è basato su quello inglese, più elevato dunque di quello spagnolo.

Infine, dopo qualche giorno, in una mattina tiepida, limpida e ventosa, partimmo, in direzione dell’Arcipelago di Madeira, lasciando finalmente il Mediterraneo alle spalle.

Appena fuori dall’influenza della costa, ed ormai in Oceano Atlantico, si notavano le differenze con il mare che avevamo appena lasciato: i venti infatti, sono costanti e regolari, sia per forza che per direzione, ed il mare, anche se calmo e con poco vento è caratterizzato da onde lunghe piuttosto alte, simili a quelle che si hanno nel Tirreno qualche giorno dopo il culmine di una burrasca.

La barca comunque si comportava egregiamente e ci permetteva con la sua mole e la sua stabilità, un buon confort di vita.

Dal nostro Meteofax ci arrivavano intanto notizie su una perturbazione che da lì a poco avremmo incontrato: sarebbe stata molto violenta alle Azzorre, e noi l’avremmo subita nella sua parte di "coda", con indicazioni molto precise da parte di una stazione tedesca, di vento da N-E di circa 25-30 nodi e mare forza 7.

L’incontro fu progressivo ma piuttosto rapido e nel giro di qualche ora capimmo che, poiché non sarebbe durata un pomeriggio come in Mediterraneo, ci dovevamo preparare psicologicamente a tenere per quei quattro o cinque giorni necessari ad arrivare all’Isola di Porto Santo.

Si navigava in sicurezza, ma di bolina, con il mare al mascone, subendo tutti, chi più chi meno, l’effetto "frullatore" all’interno dello scafo.

La navigazione è stata tuttavia, seppure dura, abbastanza sostenibile: valutammo dopo, che era stato un errore fermarci per circa otto giorni tra Gibilterra e Ceuta, poiché questo ci aveva fatto in qualche modo perdere il "piede marino", cioè la capacità dell’organismo di adattarsi ai ritmi sia fisici che psicologici della navigazione d’altura.

La distanza tra lo Stretto di Gibilterra e l’Isola di Porto Santo é di circa 600 miglia: vedere all’orizzonte, lontana, quest’isola, la nostra prima meta in Atlantico, ci entusiasmò rianimandoci completamente.

Questa piccola e solitaria isola appartiene al Portogallo, così come tutto l’Arcipelago di Madeira e le lontane Isole Azzorre. Arrivando nel suo tranquillo porto notammo che era quasi vuoto, poiché molti navigatori preferiscono andare direttamente alle Canarie e quelli che puntano in questa direzione solitamente approdano presso la più grande Isola di Madeira. Difficilmente, comunque, dimenticheremo la tranquillità di quel porto e della splendida spiaggia di marea che formava la costa da quel lato dell’isola che, tra l’altro, essendo vulcanica, era ripida ed impervia da tutti gli altri versanti.

Tranquillità, silenzio, vento, e lunghi frangenti su una splendida spiaggia ci hanno fatto rilassare in quei giorni.

Porto Santo é, come si diceva, un’isola solitaria e tranquilla, abitata da circa quattrocento persone e poco frequentata dal turismo. Lungo il molo i navigatori usano lasciare traccia del loro passaggio, dipingendo sul cemento il loro nome associato a simboli o immagini: anche lo Yuk ed il suo equipaggio hanno lasciato un memoria, dipinta per mano di Gianni.

Migliorato il tempo, partimmo alla volta delle Isole Canarie, facendo rotta su Lanzarote (250 miglia) dove siamo giunti in 2 giorni di impegnativa navigazione, anche se meno faticosa della precedente. La prima parte si svolse con mare forza 6 ma al lasco, poi il vento cambiò direzione costringendoci ad una andatura di Bolina stretta. Infine, con un certo tempismo siamo arrivati in porto giusto quando esplose una burrasca da N-W con venti di 40 nodi durante i due giorni seguenti.

Occorre precisare, che le navigazioni si svolgevano con il preziosissimo ausilio di un efficiente pilota automatico e durante la notte eravamo assistiti anche dal RADAR: questi strumenti insieme ad un G.P.S. cartografico, ad una randa avvolgibile e ad un fiocco rollabile, ci permettevano di navigare tranquillamente con equipaggio ridotto ad una persona per turno, anche di notte.

Con l’ausilio di una tecnologia economicamente sostenibile, di una buona preparazione e di una barca (con relativo equipaggio) affidabili, un simile viaggio non è infatti un’impresa da sconsiderati, si tratta semplicemente di un lungo viaggio in barca a vela.

Lanzarote è un’isola vulcanica (come tutte le Canarie) di rara bellezza: colate laviche, sabbia nera, enormi e spettacolari grotte vulcaniche, lindi paesini caratterizzati dalla tipica architettura, lande deserte ed una organizzazione per il turismo, caratterizzata da una efficienza esemplare e da costi contenuti, fanno del soggiorno a Lanzarote una piacevolissima esperienza.

E’ superfluo sottolineare che tutti i porti turistici delle Canarie, essendo peraltro destinati ad ospitare navigatori d’altura per definizione, sono eccellenti in ogni loro aspetto.

Appena ormeggiata la nostra imbarcazione al molo, abbiamo fatto l’esperienza, inusuale per coloro che frequentano il Mare Mediterraneo, di maree giornaliere con una variazione di circa due metri, per cui a seconda dell’ora del giorno trovavamo la barca notevolmente in alto o in basso rispetto al molo, situazione questa che richiedeva qualche attenzione in più nel lasciare la barca all’ormeggio.

Le Isole Canarie, tranne quelle più occidentali, sono piuttosto grandi e richiedono almeno due o tre giorni ciascuna per essere visitate in automobile. Il clima è estivo o primaverile durante tutto l’anno, in modo particolare a Gran Canaria e a Tenerife vi è un grande afflusso di turismo prevalentemente Nord-Europeo.

Lasciando Lanzarote con una bella veleggiata di alcune ore con vento di circa 25 nodi al traverso, ma con mare praticamente calmo perché sottovento alle isole stesse, siamo approdati a Fuerteventura, isola frequentata soprattutto dai surfisti, a ragione della qualità del vento, delle onde e delle coste;. Le lunghe spiagge di sabbia gialla, che dicono provenire a mezzo del vento dal vicino Sahara Occidentale, in contrasto con i colori vulcanici dell’isola, sono infatti popolate di piccoli gruppi di sportivi che sembrano essere gli unici turisti dell’isola.

Gran Canaria è la terza ed ultima isola da noi toccata alle Canarie, molto estesa, è caratterizzata da un cono vulcanico alto circa 2800 metri. Insieme a Tenerife è la più sviluppata dal punto di vista economico e delle infrastrutture per il turismo, oltre che intensamente coltivata facendo largo uso di serre che, infatti, ricoprono praticamente l’isola.

Las Palmas, la sua capitale, è una bella città grande e ben organizzata e, presso i suoi porti turistici, soprattutto in autunno, fanno sosta la maggior parte delle imbarcazioni che si dirigono verso i Caraibi ed il Centro America.

In questi accoglienti porti dove tra i navigatori si sviluppa una piacevole atmosfera di convivialità, si fa infatti, in genere, l’ultimo scalo prima del grande salto di circa 3200 miglia verso i mari tropicali dei Caraibi...

Ma questa sarà un’altra storia. 

LA BARCA :

Lo "YUK" è uno sloop Hallberg-Rassy di 49’ (circa 15 metri), di recente costruzione equipaggiato con

-Avvolgifiocco idraulico
-Avvolgiranda manuale
-Motore Diesel
-Elica direzionale di prua
-Autopilota, G.P.S. cartografico, centralina del vento, RADAR, meteofax, radio V.H.F., gruppo elettrogeno, dissalatore.
Un indispensabile cupolino protegge l’accesso all’interno della barca e la zona della timoneria; un elevato livello relativo agli allestimenti interni e le caratteristiche strutturali della imbarcazione, rispettano la filosofia che caratterizza questa casa costruttrice Svedese.

 

L’ EQUIPAGGIO :

Filippo D’Angelo, 63 anni,
Gianni Pellitteri, 53 anni,
Pier Paolo Raffa, 30 anni.

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