13 dicembre 2006


 

 

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I fantasmi di TeleDolores
Racconti di calcio e di illusioni
Presentato al Kalhesa a Palermo il secondo libro di Mario Di Caro
Un libro sul calcio che raggruppa cinque racconti che si leggono tutti d’un fiato, con una tournure che si snoda tra metafore ed allegorie sapientemente cesellate, in una dimensione quasi onirica a caccia di fantasmi dalle identità più disparate, evocati dal regista Umberto Cantone che ha letto alcuni brani alla presenza di numerosi invitati.

Martedi 13 dicembre a Palermo al Kursaal Kalhesa del Foro Italico Roberto Alajmo, Marcello Benfante e Francesco Giambrone hanno presentato “I fantasmi di TeleDolores” seconda opera del giornalista Mario Di Caro, esordiente nel 2005 con “L’ultimo miracolo di Santa Rosalia”. Il libro pubblicato da “Coppola editore” è un’emblematica storia sul calcio. Che emoziona e fa soffrire, ma che per il suo aspetto ludico è un potente antidoto contro tutti i mali. Cinque racconti che si leggono tutti d’un fiato, con una tournure che si snoda tra metafore ed allegorie sapientemente cesellate, in una dimensione quasi onirica a caccia di fantasmi dalle identità più disparate, evocati dal regista Umberto Cantone che ha letto alcuni brani del libro. Fantasmi che appaiono e scompaiono su scenari di tv scalcinate ma ancora libere e di teatri chiusi ma ancora vivi. Aleggiano nella sfida incredibile di un’emittente di provincia, nell’indimenticabile Italia – Brasile dell’82, nel patto d’onore di un centravanti di borgata, nella finale stregata di Coppa Italia Palermo – Bologna del 1974, anno della chiusura del teatro Massimo, silenzio dell’arte rinnovatrice dei popoli in una città senza avvenire. Ma interviene il calcio, rimedio salvifico, che tutti appassiona e coinvolge e lo si gioca all’ombra di un mondiale mutuato dalla televisione, quella di Stato, anche nel faticoso acuminato campetto di periferia fuori della luce dei riflettori e senza il clamore delle tifoserie. E’ la trasposizione dello sport più diffuso nel mondo in una dimensione per comuni mortali. Che fra un dribbling, un cross, un colpo di testa si immedesimano nei grandi campioni, mentre adrenaliniche suggestioni li proiettano virtualmente nell’empireo dell’audience, degli stadi gremiti, del tifo sfegatato, calciando una sfera di cuoio che distante anni luce da stipendi ed incassi miliardari, anche lì nel fango di un’anonima arena batte il portiere, entra in rete, è goal. E’ il calcio interpretato dalla gente comune. Che sogna ad occhi aperti e percepisce cose che sfuggono a chi sogna solo di notte. Un condensato della forza di un’idea, che diviene fede di eroi sconosciuti che inesorabilmente tornano alla realtà dura e cruda della vita quotidiana. Sempre pronti, nonostante tutto, a sintonizzarsi sull’onda della sublimazione della propria identità appena si spalancano le porte del grande calcio ed entrano in campo i campioni e l'ingiusta sconfitta, nel cuore è lo stesso una vittoria. Una sorta di rêverie, che non è un vuoto mentale ma la pienezza dell’esistenza. Ritorna così la musica, riprende la vita e potrebbe essere qui il lieto fine, ma un gusto amaro, da velato sottofondo riemerge prepotente in un perfido sorriso, ricordandoci che il male è sempre in agguato.

Alessandro Costanzo