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Albaria Magazine
Pubblicazione iscritta il 26/03/1983 al n.10 del Registro della Stampa presso il Tribunale di Palermo Direttore:
Vincenzo Baglione
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Viaggi: Da Palermo ai Caraibi -   Parte seconda
Parte prima

UN LUNGO VIAGGIO
Dopo l’articolo di Pier Paolo Raffa, dello scorso numero, continuiamo insieme a Gianni Pellitteri l’affascinante traversata transatlantica verso le isole caraibiche.

Testo di Gianni Pellitteri
foto di Pier Paolo Raffa e Gianni Pellitteri

lunviaggio.jpg (15764 byte)“...Filippo ed io stiamo vivendo finalmente il nostro antico sogno nel cassetto: il giro del mondo in barca a vela, oggetto di lunghe chiacchierate durante le ultraventennali crociere estive, i raid invernali e i pochi momenti di relax che ci potevamo consentire nello YUK, attraccato nel tranquillo pontile del Circolo Canottieri Palermo...”
lungviag2.jpg (8722 byte)
È il mese di novembre: dopo aver girato in lungo e in largo per le isole dell’arcipelago,”esplorando” sia la costa che l’entroterra, stiamo aspettando le condizioni meteorologiche favorevoli per affrontare il “grande salto”.
La nostra prudente attesa tenderebbe ad evitare, per il primo periodo della navigazione burrasche come quella che ci ha ha sorpreso e strapazzato per due giorni e due notti sulla rotta per l’isola di Porto Santo, durante i quali siamo stati semplicemente sfiorati dalla coda di una perturbazione che ha infuriato in quei giorni alle Azzorre. Stiamo cioè facendo tesoro del vecchio detto “chi più ama il mare, più lo teme”.
E questo è un mare che stiamo cominciando a conoscere e ad amare.
Il Signor Oceano, come lo chiamiamo rispettosamente in barca, ci ha dato un piccolo avvertimento: ha voluto prepararci ad una dimensione diversa di navigazione.
Dobbiamo prendere coscienza che le previsioni meteo, seguite da noi con grande attenzione, possono darci sí un’indicazione sull’evolversi delle alte e basse pressioni che determinano le perturbazioni, ma certamente non per un lungo periodo.
Siamo consapevoli che, incontrando una perturbazione, la dovremo affrontare senza possibilità di evitarla, fin verso una latitudine di circa 20°. Là regnano gli alisei, i famosi venti costanti dei quali tanto abbiamo letto e sentito, e che speriamo d’incontrare al più presto per vivere il sogno di tutti i velisti: navigare per giorni e giorni facendo una “abboffata” di vento, con la sola preoccupazione di regolare le vele per farle rendere al massimo.
Nel Mediterraneo, per tanti anni da noi battuto in latitudine e longitudine, avevamo pur preso qualche “buriana”, ma in quel contesto a differenza che nell’Atlantico, ci si poteva permettere di dirigersi verso il più vicino porto o ridosso in un tempo relativamente breve. Dunque siamo in attesa della partenza atlantica, impegnati negli ultimi preparativi; e anche se non ce lo comunichiamo espressamente, traspare uno stato d’animo intrecciato tra il desiderio di questa nuova esperienza ed il timore di una traversata così lunga.
Ci troviamo ormeggiati in un delizioso porticciolo turistico chiamato Pasito Blanco, a sud di Las Palmas, capitale omonima dell’isola, dove ci siamo recati quasi giornalmente per completare e definire la cambusa, e nel cui grande porto turistico siamo andati a respirare la particolare atmosfera che aleggia tra quelle centinaia di barche dove fervono i preparativi per la traversata.
Siamo andati curiosando, ammirando l’imponenza di alcune barche che difficilmente vediamo veleggiare nei nostri mari, e meravigliandoci per altre barche più modeste, che cominciamo a distinguere per il look particolare che mostrano tutte quelle che si accingano ad attraversare il Signor Oceano Atlantico.
Filippo ed io stiamo vivendo finalmente il nostro antico sogno nel cassetto: il giro del mondo in barca a vela, oggetto di lunghe chiacchierate durante le ultraventennali crociere estive, i raid invernali e i pochi momenti di relax che ci potevamo consentire nello YUK, attraccato nel tranquillo pontile del Circolo Canottieri Palermo; uno YUK che negli anni ha mantenuto lo stesso nome ma che è cambiato nel modello, “crescendo” da Alpa 11 e 50, ad Alpa 42, ad Hallberg-Rassy 49.
Una piccola nota. Anche se il nostro progetto-sogno di “giro del mondo” è stato in seguito, per molti motivi, modificato con una sua parcellizzazione progressiva (oggi l’Atlantico, l’anno prossimo il Pacifico), per lo meno per quel che riguarda chi scrive, la sostanza e la fascinazione del tragitto transatlantico non sono cambiate quasi per niente. Ma torniamo a noi.
Durante la primavera, Filippo aveva messo a punto la barca nei minimi dettagli, aiutato da me in quei pochi ritagli di tempo che riuscivo a trovare (Filippo aveva voluto smettere di lavorare già qualche mese prima, mentre io ero ancora impegnatissimo con il mio lavoro, che avrei lasciato negli ultimi mesi dell’anno ed i ritagli di tempo per un minimo di preparazione atletica, consigliata e guidata da mio fratello Modesto).
Modesto é incaricato dalla F.I.V. quale responsabile della preparazione atletica della VII zona. Trainer da anni di alcuni noti velisti del Lauria, dell’Albaria e di Costa di ponente (surfisti), Mody, come lo chiamano gli amici, essendo, tra l’altro, personal trainer, mi ha sottoposto negli ultimi mesi ad un allenamento indispensabile per migliorare la resistenza, la forza, l’elasticità muscolare, nonchè la mobilità articolare, non tralasciando la coordinazione neuro muscolare.
Durante gli allenamenti mi rammentava soventemente, “la preparazione a terra é importante quanto la tecnica per contribuire alla piena crescita dell’atleta”. Ho potuto fare tesoro dei consigli di Mody in alcune occasioni impegnative nelle quali mi sono ritrovato soprattutto come prodiere. Inizialmente, quindi, il nostro equipaggio comprendeva soltanto noi due ma, come ha già raccontato Pier Paolo, le “voci di banchina” hanno arricchito lo YUK della sua presenza, alla quale si è aggiunta poi quella di Lia, da Gibilterra in poi.
Lia, moglie di Filippo, merita una particolare menzione nel contesto di questi ricordi.
Un giorno, durante i preparativi per la partenza, ancora ormeggiati al Circolo Canottieri, Filippo mi comunicò che sua moglie nel mese di ottobre avrebbe trascorso una settimana di vacanza a Marbella insieme alla loro figlia Igea e alla loro nipotina Carletta (che vivono a Parigi), e che aveva inoltre espresso il desiderio di unirsi a noi fino alle Canarie, facendo intendere una non tanto velata intenzione di effettuare con noi, possibilmente, la traversata atlantica!
Alla mia evidente sorpresa e alle mie manifestazioni di perplessità e preoccupazione Filippo, sorridendo sornione, rispondeva che al primo impatto con l’oceano Lia avrebbe certamente desistito sbarcando, stravolta, alle Canarie.
Occorre precisare che Lia non si poteva definire, neanche lontanamente, una velista; la sua esperienza per mare, anche se molto datata, era limitata a brevi crociere estive, il più delle volte con andata e ritorno in aereo dalla Grecia o dalla Turchia (dove da molti anni ci dirigevamo nel periodo estivo), e dimostrava il più grande disinteresse per le “cose” di mare e di barca, al punto che ancora non era in grado di eseguire una semplice gassa d’amante, nè aveva la benché minima cognizione delle manovre a vela; dopo anni di sforzi Filippo aveva rinunciato a ripeterle continuamente alcuni insegnamenti di base assolutamente necessari per qualsiasi marinaio, “abbandonandola” al suo stato di pura crocierista.
Questi, quindi, erano i motivi di preoccupazione da parte mia, mentre Filippo dimostrava ottimismo sulla défaillance di Lia alle Canarie.
Contro ogni previsione, invece, Lia, nonostante il duro impatto con l’oceano, durante il trasferimento verso Porto Santo ed il successivo verso le Canarie, decise fermamente di fare la traversata, fidando in una cieca fede nei confronti di tutti i santi del Paradiso, e compensando ampiamente il nostro pragmatismo e scetticismo.
Ci voleva dimostrare un vivo, improvviso, interesse per tutto ciò che facevamo in barca, offrendosi disponibile per qualsiasi manovra nonostante i nostri poco lusinghieri sguardi e commenti, seguìti spesso da grida per correggere i suoi errori e le sue “imbranature”. Anche nei momenti peggiori, sballottata in cucina, riusciva a offrire all’equipaggio almeno un pasto caldo al giorno, cucinando in situazioni di grande disagio e con grande, divertito scetticismo e cinismo da parte nostra. Uno scetticismo che in futuro sarebbe svanito, perché Lia ci avrebbe dimostrato di essere una buona compagna di navigazione creandosi un suo spazio di competenza nella gestione della cambusa, curando la conservazione della frutta fresca, delle verdure, delle uova e di quant’altro fosse soggetto ad andare a male, prelevando con attenzione, giornalmente, gli “articoli” giunti alla giusta maturazione.
Altro settore dove Lia ha preso facilmente il predominio, col nostro ampio consenso, è stato quello delle comunicazioni, nelle quali era molto portata sia per la innata loquacità che per l’ottima conoscenza del francese e dell’inglese.
Ma torniamo alla partenza.
Qualche giorno prima della traversata, Carlo (primogenito di Filippo) ci comunica che il set di vele, con impresso lo stemma della città di Palermo, è finalmente arrivato all’aeroporto di Las Palmas.
Siamo ormai giunti agli ultimi ritocchi, ai preparativi, e quindi ci dividiamo i compiti:
- Filippo e Lia vanno in aeroporto a prelevare le vele;
- Pier Paolo e io diamo l’ultima, abbondante lavata alla barca senza risparmio di acqua, che di lì a breve avremmo dovuto considerare molto preziosa.
L’andamento delle previsioni meteorologiche ci indica che fra uno o due giorni al massimo potremo mollare gli ormeggi.
Ed ecco un secondo colpo di scena dopo quello di Lia!
Pier Paolo ci comunica che, a causa del rallentamento subìto nella prevista - anche se indicativa - tabella di marcia, dovuto alle soste “forzate” di Gilbilterra, Porto Santo e Las Palmas, non può proseguire con noi dovendosi trovare a New York, per motivi di lavoro, nei primi giorni di dicembre. Sono già i primi di novembre e ci aspettano ancora, se tutto va bene, almeno venticinque giorni di traversata per giungere ai Caraibi. Con nostro sommo dispiacere vediamo Pier Paolo partire alla volta del Marocco, dove ci dice che “bivaccherà” per qualche settimana, spostandosi anche in Mauritania prima di volare a New York per ragioni di lavoro, compensando così, almeno in parte la delusione di non poter effettuare la traversata atlantica con noi (Pier Paolo è da anni un patito dell’Africa, oltre che della vela). Ci eravamo ormai abituati alla sua presenza, alla sua collaborazione, alla sua discrezione e, soprattutto, alla sua cucina raffinata.
Fino a quel momento le “guardie”, in particolare quelle notturne, non erano state pesanti perché adottavamo il sistema di un turno di due ore più altre due ore di appoggio dormendo in pozzetto; questo metodo ci consentiva di dormire per quattro ore più due ore di dormiveglia, attenti ad una chiamata dall’uomo di guardia. Ma fino a quel momento avevamo fatto al massimo trasferimenti di cinque giorni! Ora eravamo rimasti in due, più....... Lia, e ci aspettava il Signor Oceano Atlantico per oltre venticinque giorni.
È pur vero che inizialmente l’equipaggio doveva essere formato soltanto da Filippo e da me; tuttavia la presenza di Pier Paolo ci aveva abituati ad una maggiore comodità e tranquillità che ora dovevamo, per forza di cose, ridisegnare. A dire il vero Filippo dimostra tuttora, com’è nella sua natura, una grande tranquillità che sotto sotto nasconde, sicuramente, anche il sottile piacere di constatare la grande volontà d’animo di Lia nel volerlo seguire, a tutti i costi, in questa esaltante avventura. Andiamo per l’ultima volta, prima della partenza, sulla marina di Las Palmas, dove fervono i preparativi delle oltre cento barche che parteciperanno alla transoceanica. Forse c’è un pizzico d’invidia, o forse no, nel pensare che non saranno da soli come noi nell’oceano! Ma la nostra è stata una precisa scelta. Sia io che Filippo non amiamo molto gli affollamenti. Gironzolando, ci imbattiamo nella segreteria dell’ARC Rally, cioè proprio la regata transoceanica per barche da crociera che si sarebbe svolta a giorni. Chiediamo a Mariceta, la segretaria organizzativa, se sia a conoscenza di persone che cerchino un imbarco per la traversata, e lei ridendo mi accompagna di fronte ad una bacheca stracolma di messaggi per imbarchi verso i Caraibi! Purtroppo quasi tutti questi messaggi sono rivolti ai partecipanti della regata, che si svolgerà la settimana successiva; e noi invece partiamo immediatamente. Ed ecco che tra questi messaggi intravedo l’appello di una ragazza inglese di ventotto anni di nome Maxin, senza alcuna condizione di tempo e con un curriculum marinaro di tutto rispetto.

“....Stiamo cioè facendo tesoro del vecchio detto: chi più ama il mare, più lo teme. E questo è un mare che stiamo cominciando a conoscere e ad amare. Il Signor Oceano, come lo chiamiamo rispettosamente in barca, ci ha dato un piccolo avvertimento: ha voluto prepararci ad una dimensione diversa di navigazione....”
Assemblea generale di tutto l’equipaggio per decidere sull’opportunità di questo imbarco! Nonostante le sostenute resistenze di Lia, alla fine, con maggioranza “assoluta”, si decide di imbarcare Maxin. Il 16 novembre 1997, alle 12 (ora locale), si mollano gli ormeggi per l’Atlantic Crossing alla volta delle Antille, facendo rotta verso le isole di Capo Verde.Si inizia benissimo! Abbiamo azzeccato il momento giusto e c’è un gran vento di traverso!
Ci divertiamo a timonare facendo dei brevissimi turni per gustarci appieno questo inizio di galoppata: siamo presi da un tale entusiasmo iniziale che in quei momenti accantoniamo completamente il pensiero di avere davanti un’enorme distesa d’acqua, che dobbiamo affrontare ed attraversare per oltre 2800 miglia prima di rivedere la terraferma.
Nei quattro giorni successivi ci ritroviamo più volte con un filo di vento e la nostra impazienza ci fa usare il motore, di tanto in tanto, per un totale di otto ore.
Abbiamo voglia di raggiungere al più presto una latitudine di sicurezza per “afferrare”, o meglio, “farci afferrare”, dagli alisei, che ci condurranno per mano fino ai Caraibi.
E ciò che avevamo letto e sentito si avvera puntualmente. Adesso abbiamo un vento costante che ci spinge da N/NE con intensità media di 15 nodi su una grande onda. Filiamo ad una velocità media di sei-sette nodi, con punte che vanno oltre gli otto nodi, con randa bloccata con ritenuta e genoa tangonato sopravvento.
Preferiamo l’andatura a farfalla per mantenere una rotta diretta, anche se ciò comporta un rollìo così accentuato che abbiamo dovuto sfoderare tutte le nostre doti nascoste di equilibrismo per fare anche le cose più elementari. Spesso issiamo anche la trinchetta per avere una maggiore stabilità e per procurarci un po’ di ombra nel pomeriggio.
Nessuno dorme più in cuccetta: il rollìo è veramente “pesante”; io, per pura follia, mi ostino a dormire nella mia cuccetta: quella di prua dove maggiormente si sente il mare. Vorrei abituarmi a dormire in quelle condizioni, ma è veramente difficile con quella danza e controdanza.
Nei primi giorni, Lia e Maxin faticano moltissimo a prendere il “piede marino” e fanno le belle statuine, lasciando a me e Filippo qualsiasi compito.
Lia è la prima a tornare nel mondo dei vivi e gradatamente si adatterà a quella andatura al punto che, come si è detto in precedenza, riuscirà perfino a cucinare in quelle condizioni veramente scomode; stare all’interno di una barca con il mare costantemente mosso richiede un notevole piede marino, figuriamoci effettuare lavori o cucinare.
Dopo i primi giorni, ci andiamo rendendo conto che possiamo allentare le guardie e, solo per scrupolo, ci alterniamo al pozzetto ma....... dormendo.
Filippo si “apposta”, durante i suoi turni di riposo, in dinette, con un occhio chiuso e l’altro che di tanto in tanto scruta il radar, esercizio che effettuerà sino alla fine della traversata.
Ed ecco, improvvisa, l’emozione del primo incontro con una vela! Un catamarano battente bandiera degli Stati Uniti. Il vento si è alleggerito e quindi troviamo lo stimolo per issare il coloratissimo MPS, che con il vento relativo al giardinetto di 8/9 nodi ci ha regalato una bellissima e veloce andatura per tutto il giorno, “with the compliments” dello skipper della barca americana, che in poche ore sparisce dal nostro orizzonte di poppa. Tuttavia, quello stesso giorno all’imbrunire, la nostra coloratissima vela, che tanto ci aveva inorgoglito, con un fragoroso boato finisce in acqua dandoci l’impressione che sia esplosa per un cedimento strutturale. Dopo il faticosissimo recupero però constatiamo, con grande sollievo, che la causa è stata la difettosa chiusura di un moschettone. Gli altri due piccoli incidenti tecnici che abbiamo subìto sono stati:
- l’usura della scotta del genoa in corrispondenza della varea del tangone;
- il cedimento del carrello della scotta della randa sul boma.
Il primo caso ci è saltato agli occhi durante un cambio di mura; abbiamo cercato di limitare il logorìo, prima con una patornatura e con un rivestimento in cuoio ( che sono riusciti ad evitare l’inconveniente, anche se solo per pochi giorni) in seguito, applicando una pastecca all’estremità del tangone, attenuando così i continui strappi causati dal costante e forte rollìo.
Il secondo caso ci ha tenuti, per qualche giorno, in apprensione, perché non riuscivamo a capire da dove diavolo saltassero fuori tutti quei pallini di teflon che ogni mattina trovavamo sul ponte della barca. Filippo, in un primo momento, ha attribuito il fatto alla rottura della base rotante del radar collocato a tre quarti d’albero e quindi limitando, in quei giorni, il suo uso a qualche minuto notturno. Cosa che certamente non ci ha riempito di gioia, per la maggiore attenzione che abbiamo dovuto porre durante le guardie. Tutte le mattine, però, abbiamo continuato a trovare sul ponte le sfere di teflon, pur avendo tenuto spento il radar per due giorni e due notti consecutivi e sotto stretta osservazione. Questo ci ha portati a fare un minuzioso controllo delle attrezzature e finalmente abbiamo constatato, per fortuna in tempo utile, che stava cedendo il carrello in questione. Data la forza del vento, non voglio neanche pensare alle possibili conseguenze di un effettivo cedimento.
In barca, per quanti ricambi hai stivato, non puoi avere tutto! Noi non abbiamo il carrello di ricambio! Uno stroppo, però, lo sostituirà adeguatamente.
Tranne questi episodi “di emergenza”, tutto il resto è stato veramente fantastico ed esaltante. Non ho perso una sola alba od un solo tramonto.
In Atlantico i colori e la configurazione delle nuvole assumono una dimensione diversa che nel Mediterraneo. Una maestosità che a tratti sembra immobile e che in un istante cambia completamente scenografia con possibili, improvvisi, acquazzoni.
Di notte sono affascinato da un cielo stellato che non conosco, e vado prendendo confidenza con costellazioni che prima avevo visto solo sulle carte astronomiche.
Occorre dire che, nonostante tutte le nostre letture sulle traversate oceaniche, la realtà ha superato abbondantemente la fantasia, regalandoci forti emozioni e grandi momenti di serenità, e senza alcuna presunzione, a posteriori, una tranquilla sicurezza sulle nostre capacità e sulla affidabilità della barca.
Stiamo tenendo una buona andatura con una media che alla fine risulta di circa 150 miglia al giorno (il nostro record giornaliero è stato di 198 miglia); navighiamo entro margini di tranquilla sicurezza, evitando di sottoporre mai le attrezzature a sforzi estremi.
Purtroppo per noi, ma soprattutto per lei, Maxin sta “subendo” una pessima traversata. Chi ha sofferto qualche volta il mal di mare, può apire cosa significhi trovarsi in pieno oceano in quello stato. La poverina continua a rassicurarci dicendoci che sta facendo the sea-legs (il piede marino) ma io, scherzando, le rispondo che si sta invece facendo the sea-bottom (il culo marino!).
Ho voluto raccontare questo episodio per permettermi di dare un piccolo consiglio: mai imbarcare all’ultimo minuto persone che con le quali non si è mai navigato insieme!
Comunque sia, il tempo trascorre tra abboffate di lettura e qualche mia strimpellata di chitarra; la mattina preparo un’abbondante colazione a base i pane tostato, fette biscottate, biscotti, miele, marmellata, yogurt e molto tè. Ma la vera impresa è tenere tutta questa roba sul tavolino del pozzetto: ci è mancato molto un sopra-tavolo con degli incassi. Alle dodici si fa regolarmente il punto-nave, poi si mangia qualche cosa di semplice e si aspetta l’imbrunire per fare una buona cena, magari a base di pizza - nella cui preparazione e cottura mi sono particolarmente specializzato ricevendo i complimenti dell’equipaggio, che l’ha richiesta più volte a viva voce. Altro piatto preparato con frequenza e in tutte le salse è stato il dorado, un tipico pesce atlantico, che abbiamo pescato a traino in abbondanza; siamo anche riusciti a pescarne uno di almeno un metro e mezzo di lunghezza. Non abbiamo avuto mai la voglia di fare una frittura con i pesci volanti che di notte piombavano sul ponte, appunto, per la continua abbondanza di pesce. Diciannove giorni dopo la partenza da Las Palmas, cioè con sei giorni di anticipo rispetto alle nostre previsioni, avvistiamo i bagliori di Martinica, che raggiungiamo alle ore 8 locali, corrispondenti alle ore 13 italiane. Bevuta di champagne mattutina, approdo in rada nella baia di cul de sac Le Marin, doveroso bagno, secondo tradizione, con relativo lancio in acqua dello skipper e infine attracco alla marina, per un meritato sonno con il letto finalmente immobile. Siamo dunque arrivati con una settimana di anticipo al rendez-vous con la tribù di Filippo, che trascorrerà il Natale con noi per poi tornare a casa, e pertanto trascorriamo giorni in pieno relax tra bagni in baiette piene di mangrovie, escursioni a Fort de France o all’interno nella foresta tropicale.
I giorni ed i mesi che seguiranno ci vedranno vagabondare su e giù per i Caraibi da Martinica ad Anguilla ma, ancora una volta,
questa, è un’altra storia....