Pagine in allestimento

SPORT

TURISMO

MUSICA

SPETTACOLO

CULTURA

ATTUALITÀ

Copyright © 1997 Albaria Magazine Direttore:
Vincenzo Baglione Tutti i diritti sono riservati
E-mail: albaria@tin.it

Assistenza internet
Gabriele Nuzzo

L'OPINIONE
di Germano Scargiali

Morta la vela, viva la vela.

Questo è il pensiero che ci tormenta dall'indomani di Napoli '98.

Morta la vela, viva la vela. Questo è il pensiero che ci tormenta dall'indomani di Napoli '98. Morta, perché ridotta al lumicino, viva perché continuiamo ad amarla ed a praticarla, come possiamo, sperando in un domani migliore.

E' stato interessante seguire come, dalla viva fonte, si è cercato di fornire una buona immagine dei campionati e, con essa, un buon check-up della realtà attuale. Tuttavia, dovere di cronaca, amore di verità e concretezza ci impongono di azzardare una critica più costruttiva possibile, ma, soprattutto, necessaria.

Non c'è dubbio che Napoli sia una stupenda cornice ed un campo di regata come pochi al mondo: fra i più adatti ad ospitare una grande manifestazione. Il campionato delle classi olimpiche è stato un successo di spettacolo. Da qui a dire che possiamo esserne soddisfatti, tuttavia, ne corre.

Dalla "lontana" Sicilia notiamo che intere marinerie mancavano, inesorabilmente, all' appello. Anni fa, serpeggiava, nei confronti dell'Isola, l'accusa di "crescere troppo". Si moltiplicavano i club e, con essi, i velisti. Ancora c'è tanto da fare, se è vero che a Licata, Pantelleria etc non c'è ancora un club. Ma, dov'è finita la passione di provincie, come Messina, Catania, Siracusa, Agrigento? Da Palermo sono partiti per Napoli meno di 10 velisti: gli Ivaldi (palermitani acquisiti), Granara (ormai un autonomo professionista) si è reimprovvisato laserista, Fenomeno-Wirz, che, dopo aver rinunziato all'attività internazionale è andato a vincere un nuovo titolo nel surf, più gli immancabili Sensini e Giordano. Da Marsala, altra città "patita" per la vela, due o tre timonieri hanno acchiappato un Laser, tanto per onor di firma ed amor di partecipazione.

Per le altre regioni non è che sia andata meglio.

Per capire dove sia finita la vela italiana occorre paragonare non il numero dei partecipanti agli ultimi campionati a classi riunite, ma paragonare i partecipanti di oggi a quelli di 5 anni fa ed oltre. Non c'è bisogno di statistiche, perché tutti ricordiamo che i numeri, per quanto già allora non sempre esaltanti, erano ben altri.

Colpa della base? Non crediamo.

Ancora una volta, la data scelta, nonostante le "preghiere" di tutti, coincideva con gli esami di liceo ed università. Tale scelta ha fatto saltare per aria fior di equipaggi, già negli anni scorsi. Altri ne sono saltati quest'anno, non solo dai tricolori, ma, assieme ad essi, dall'intera attività stagionale.

Perdurano alcuni atteggiamenti federali, che risultano deleteri per il fiorire dell'attività sportiva: i club non sono motivati, se non platonicamente, a metter su equipaggi di valore. Tutti ricordiamo che, in occasione delle ultime olimpiadi, nessun comunicato nominava i club di appartenenza dei 10 equipaggi prescelti. Lo stesso avviene, di solito, in occasione di europei, mondiali etc.

Intendiamoci: un po' di gratificazione morale non costerebbe una lira.

I prodieri continuano a non essere considerati nulla, neppure nominati, e divengono sempre più introvabili: o hai un fratello o una sorella a prua o, prima o poi (è già avvenuto), dovrai pagarlo. Eppure il prodiere serve. Provate a mettervi a prua un campione olimpionico ed il giorno dopo un compagno di scuola e paragonate i piazzamenti. Quando il livello era basso (magari fino a 20 anni fa), valeva la massima "il prodiere te lo costruisci in un mese". Oggi non più.

Ripetiamo, purtroppo, nostro malgrado, la critica mossa all'indomani delle olimpiadi. Fino al giorno prima non avevamo mosso critiche per dovere di buon gusto e di collaborazione, anche formale. Adesso, non sarebbe giusto non porre sul tavolo i problemi che rimangono irrisolti.

Non è possibile avere una nazionale azzurra organizzata come un team a sé, che non abbia un retroterra di attività effettiva. L'Italia non è l'Urss di 10 fa, nè l'Ucraina. Non vogliamo mancare di rispetto a Valentin Mankin. Siamo convinti che non lo merita, ma i fatti sono questi. Ripetiamo le parole dette all'indomani della debacle di Atlanta: noi vogliamo una nazionale azzurra che sia, in qualche modo, almeno in una certa misura, l'espressione dell' attività velica nazionale. Un'attività che, come volevasi dimostrare, cioè come avevamo previsto, è ridotta al lumicino. Non vorremmo fare voli pindarici, ma ci vien da dire che il guaio è che "si vive una volta sola". Dopo aver vissuto rinunziando alla vela nazionale, non ci sarà un'altra vita per goderci una vela migliore. Non possiamo continuare ad avere 10 equipaggi, o meno ancora, per classe. Dobbiamo fare qualcosa per averne qualcuno in più.

Ed andiamo agli sponsor. Dalle foto scattate a Napoli se ne evince la perdurante totale assenza. Logica conseguenza, anche questa, di scelte ed impostazioni che non pagano, della assenza dello sport velico dalla tv e dalla carta stampata. Ci sarebbero i mezzi ed i modi per far meglio? Ma, certamente. Non manca qualche esempio di vela sponsorizzata: Giro d'Italia a vela, etc.

Potremmo continuare, ma preferiamo azzardare una difesa, magari parziale, delle scelte fin qui adottate, delineando alcune attenuanti, sempre con la speranza di far del bene e di non offendere nessuno. Perché di errori se ne fan sempre e, se non ci si passa, certi correttivi non possono essere adottati.

Molti errori italiani dipendono dall'Isaf. Nessuno di noi dubita che la mentalità di noi velisti dipende da atteggiamenti che sono mondiali, prima che nazionali. E' lo sport velico mondiale ad essere irrimediabilmente invecchiato e ad attendere un, pur tardivo, svecchiamento. Ma noi italiani pare siamo stati abili nell'interpretare con più zelo le scelte sbagliate della federazione internazionale, che non quelle (poche) giuste.

Prendete, nell'altura, la realtà dell' Ims. "summum ius summa iniuria", dicevano i latini. Traduzione: è proprio quando ti illudi di raggiungere la perfezione giuridica che ti freghi. Oggi sappiamo che inglesi ed americani hanno preso autonomamente le distanze dall'Ims.

Prendete i campi di regata a quadrilatero, trapezio e via dicendo, che impongono all'organizzazione la posa di mille boe, i laschetti finali, i percorsi scriteriatamente brevi. Sono più spettacolari? No, sono fonte di ancor più confusione per i regatanti, le giurie, le telecamere ed il pubblico (che continua a non esistere).

E torniamo in Italia. Oggi il Coni è fin troppo nell'occhio del ciclone per la scriteriata gestione del doping (e su Albaria l'avevano detto). Ma chi ricorda il nostro articolo post olimpico sa che non interveniamo, tardivamente, da maramaldi. Il Coni è una creazione "all'italiana", una italica scaltrezza di marca fascista. Noi non siamo antimussoliniani per vocazione, ma il Coni appare datato. Tutti i governi del dopoguerra si sono, tuttavia, lanciati con fare famelico sui privilegi dell'immenso carrozzone, che risulta, di fatto, più politicizzato di un ministero. Nelle altre nazioni esiste un comitato olimpico, ma non funge da ministero dello sport, non amministra le totoscommesse, non è stramiliardario. In compenso esiste un ministero dello sport, come in Italia, nelle regioni, provincie e comuni, esistono (per contraddizione) gli assessorati. Lo sport non è solo olimpiade o agonismo, è salute pubblica, fisica e morale, offre un ritorno i termine di costi e risparmi sociali. Impostato così, lo sport nazionale è un tormentone, le olimpiadi, che tutti amiamo, rischiano, dopo 50 anni di repubblica, di diventare un incubo. Anzi, lo sono già.

Da 50 anni, le nostre federazioni sportive, vela più che mai compresa, vivono in funzione strettamente olimpica e non ottengono che striminzite soddisfazioni sul podio. Spessissimo, per merito di talenti spontanei ed autonomi, addirittura in rotta con le federazioni. Vi risparmiamo gli esempi. Vogliamo esser capiti soprattutto da chi è in grado di capire. E tutti sappiamo quanto sia vero ciò che stiamo dicendo. Consentiteci di prendere a simbolo A.R. Sidoti, vincitrice ai mondiali di atletica e salvatrice della patria ad Atene, dove si trovava come riserva di una nazionale azzurra, per altro sonoramente sconfitta.

Conclusione. Facciamo fare sport e vela agli italiani, che, dopo gli inglesi, sono fra gli inventori e fra i precursori dello sport dell'era moderna. Gli italiani vogliono fare sport e vela dalle Alpi a Lampedusa, sono sportivi-agonisti per vocazione. La nazionale azzurra sarà automaticamente più forte, ma, soprattutto, sarà l'espressione di uno sport nazionale che esiste.

Torna a inizio pagina